15.02.2013 Views

7_93_20060703131726

7_93_20060703131726

7_93_20060703131726

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

apre una parentesi di dialogo diretto col lettore: «Che grazia<br />

vuoi, nel racconto? Non certo la grazia delle vecchie bianche<br />

signore scrittrici d’Europa. Non mi appartiene. Né la grazia<br />

degli arditi giocolieri di parole che abitano il tuo mondo».<br />

Quest’ultima frase pare un velato riferimento ad alcuni scrittori<br />

‘giovani’ e a una certa narrativa del nostro paese che Atzeni<br />

definisce «petrarchista» 13 , cioè di forme eleganti, ma di<br />

poca sostanza.<br />

Il rapporto con Grazia Deledda, se a lei si riferisce lo scrittore<br />

con garbata allusione nel passo sopra riportato, si instaura<br />

fin dall’infanzia: «Quando ero piccolino mia nonna<br />

mi leggeva i racconti di Grazia Deledda e quanto quei racconti<br />

mi abbiano influenzato, non lo so» 14 . Ha una stima<br />

profonda per l’autrice nuorese, ma ritiene il suo modello di<br />

scrittura ormai inattuale per descrivere il mondo di oggi:<br />

«Credo sia importante sottolineare la grandezza di Grazia<br />

Deledda, tenendo presente anche l’epoca in cui ha scritto, il<br />

fatto che era donna, e questo allora, non era certo un vantag-<br />

13 «L’impressione generale è una: fanno un po’ gazosa. A Cagliari fare gazosa<br />

si dice, quando si gioca a football, di quei tizi che prendono il pallone,<br />

dribblano uno, due, tre avversari, a volte anche se stessi, poi non riescono a<br />

passare al compagno meglio piazzato, oppure fanno un lancio bellissimo di<br />

quaranta metri, che però finisce nell’unico angolo di campo dove non c’è<br />

neppure un compagno. Gianni Brera ha inventato un verbo, per questi tizi:<br />

venezianeggiano. Ecco, i migliori [secondo parte della critica] mi paiono un<br />

po’ troppo venezianeggianti». Tra i colleghi che stima di più, reputati allora<br />

sottovalutati dalla critica, Carlo Lucarelli, che Atzeni apprezza perché le vicende<br />

che racconta accadono «proprio come nella vita, cioè, e non come<br />

nella letteratura petrarchista di questo stivale» (I salvati e i sommersi, «l’Unione<br />

Sarda», 28 Maggio 1992).<br />

14 ATZENI, Il mestiere dello scrittore, conferenza tenuta nel 1991 pubblicata<br />

in Sì…otto!, a cura di Giuseppe Marci, Condaghes, Cagliari 1996, p. 89.<br />

324<br />

gio, e l’incredibile mole di produzione. All’interno di questa<br />

mole ci sono quattro o cinque opere che sono ancora oggi<br />

bellissime, nonostante il tempo che è passato, nonostante<br />

nessuno racconti più in quel modo, nonostante un lettore<br />

moderno possa avere qualche difficoltà nell’approccio alla<br />

Deledda. Per quel tempo era straordinaria. Se io fossi il mignolo<br />

della Deledda mi riterrei soddisfatto» 15 .<br />

Sempre in Da Nicola a Nicola, il giorno della sua morte è interessante<br />

anche la parte che riguarda la scelta dei nomi. A<br />

proposito del paese del padre, la voce narrante cita, primo di<br />

una lunga serie, il nome Tullio, lo stesso del protagonista del<br />

romanzo Il figlio di Bakunìn, la storia del quale pare essere la<br />

trasfigurazione romanzata della vita di Licio Atzeni, padre<br />

dello scrittore: «Tullio e Virgilio, messié. Si chiamano così alla<br />

bocca della miniera».<br />

I personaggi che popolano I sogni della città bianca possiedono<br />

spesso nomi dalla forte carica ironica (Puppipepper,<br />

Mariotto Pò, Burriba, Ofelia Pintus), meno frequente è l’identificazione<br />

delle caratteristiche del personaggio fin dal<br />

nome, l’homen nomen (Luigino Testadiferro, Panciadinsetto,<br />

Faina). In Una leggenda meridionale, invece, tutti si chiamano<br />

Domenico, e l’autore ne spiega il motivo: ognuno è<br />

servo o padrone di qualcun altro. L’unica signoria che non<br />

merita condanna, poiché cela in sé la propria pena, è quella<br />

d’amore.<br />

Ibrahim, semi-occulto protagonista di un ciclo di racconti<br />

all’interno della raccolta, è traduzione araba di Abramo, nome<br />

di uno dei protagonisti, con Gioacchino, di Anche le pratiche<br />

possono morire. Ibrahim è dunque arabo come Alì<br />

15 SULIS, La scrittura, la lingua e il dubbio sulla verità, cit.<br />

325

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!