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Alle sei del mattino, attorno alla chiesa del Polpo Rovesciato,<br />
c’era una bella corona di cespugli verdi ornati di<br />
fiorellini rosa. Alle sette c’è un massacro di erba calpestata<br />
e di fiori secchi. Ma il pacchetto non è stato trovato.<br />
“Bisogna calmarsi” pensa Faina “tanto con la rabbia<br />
non si conclude un cazzo” e si accende uno spino coi residui<br />
di libano rosso oppiato – la riserva personale – tratti<br />
dalla vaschetta del cesso questa mattina alle cinque.<br />
Una canna calmante che non calma un cazzo. La paranoia<br />
aumenta: ormai è chiaro che qualche bastardo si è<br />
fottuto l’etto. Un capitale andato in fumo. Un ferragosto<br />
rovinato.<br />
Faina torna sul luogo della maledetta sparizione. E pesta<br />
coi piedi, incazzato, sui resti di quel cespuglio ladrone.<br />
“Oh, non è ora di pestarci sulla testa, questa.” Si, proprio<br />
così. Da sottoterra una voce ha gridato esattamente<br />
queste parole, come se invece di aver pestato un prato<br />
Faina avesse pestato sul pavimento del terzo piano di un<br />
condominio.<br />
Inutile star qui a raccontare la meraviglia del baldanzoso<br />
spacciatore che alle sette e mezzo del mattino di ferragosto,<br />
sotto il sole, sente una specie di venticello di dicembre<br />
che gli corre su dal culo alla schiena.<br />
Insomma, dopo aver smaltito la paura, Faina riesplora<br />
con gli occhi la base del cespuglio maledetto.<br />
Ora vede un aggeggino mai notato prima, una specie di<br />
anello di ferro, di quelli che si vedono nei film e nei fumetti,<br />
sì, proprio quelli che servono a sollevare una botola.<br />
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“Una botola? E dove cazzo porta? E chi cazzo ci abita,<br />
sotto? Ma guarda che razza di roba stravagante” pensa il<br />
nostro eroe che, se non fosse per via di quel suo etto famoso,<br />
se ne andrebbe di corsa, lasciando a qualcun altro<br />
il compito di scoprire cosa ci faccia una botola a due passi<br />
dall’ingresso della chiesa del Polpo Rovesciato, una botola,<br />
perdipiù, dalla quale emergono anche delle voci di<br />
gente che chiaramente abita sottoterra.<br />
Ma l’interesse dà coraggio – son le condizioni materiali<br />
che fanno la coscienza, quell’etto insomma – e Faina solleva<br />
l’anello. Una botolina sepolta sotto la terra si solleva.<br />
Una botolina da nulla che, sotto, lascia intravedere il<br />
principio di una scaletta di ferro.<br />
“Ormai siamo in ballo” pensa virilmente Faina, e comincia<br />
a scendere. Scalino dopo scalino, ne ha contati ormai<br />
diciotto quando una vocetta stridula e incazzata, da<br />
molto più sotto ancora, una voce d’uomo, ma anche una<br />
voce di donna, (una voce insomma che se avessimo chiesto<br />
a Faina che voce era, lui non ci avrebbe saputo dire<br />
niente di preciso se non osservazioni molto vaghe e generiche)<br />
questa voce ha urlato “Chi è quel coglione che ha<br />
lasciato aperta la botola?”<br />
C’è, in quella voce, una tale quantità di autorità e di comando,<br />
che Faina si sente obbligato a risalire gli scalini fino<br />
al livello del suolo e a chiudere la botola da lui stesso<br />
lasciata aperta.<br />
Poi ridiscende e riconta. Conta fino a trentatre scalini.<br />
Poi, sotto, sente il vuoto. Cerca col piede, al buio, un appoggio<br />
qualunque. Niente.<br />
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