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Un altro dei libri prediletti da Atzeni è Sei problemi per don<br />

Isidro Parodi, di Borges e Bioy Casares, dall’altro capo del<br />

mondo, l’Argentina dei dittatori e delle democrazie populiste.<br />

Ama l’intelligenza del savio barbiere, incarcerato sebbene<br />

innocente. Si occupa spesso di chi si oppone, di chi rifiuta<br />

di integrarsi con un potere liberticida, come nel caso di Dashiel<br />

Hammett, perseguitato durante il maccartismo. Ricorda<br />

più d’una volta la sorte del sardo Sigismondo Arquer, autore<br />

di una Sardiniae brevis historia et descriptio, «uomo che ebbe<br />

doti esemplari di dignità, di cultura, di umanità e di coraggio»<br />

19 , che lo condussero nel 1571 ad essere arso vivo a Toledo<br />

dal tribunale del Sant’Uffizio con l’accusa di eresia, e per<br />

le critiche al clero sardo.<br />

Aspirazioni e desideri repressi portano Atzeni a sentirsi<br />

come prigioniero quando scrive I sogni della città bianca,<br />

quando affida all’Apologo del giudice bandito la sua vocazione<br />

di scrittore. La persecuzione è quella di un potere certamente<br />

meno palpabile di quello dell’inquisizione, o di quello<br />

staliniano o dei generali argentini, ma avvertito comunque<br />

come soffocante e tirannico per la libertà individuale.<br />

Un’oppressione presente, come prevedeva Tocqueville, anche<br />

nelle moderne democrazie, che porta all’emarginazione,<br />

all’esclusione: «I dimenticati, per loro è il pozzo. Nessuno<br />

li ricorda, non sono sfamati né torturati» 20 .<br />

Ruggero Gunale si sente prigioniero di una città amatissima,<br />

a volte splendida, ma anche, come detto in Campane e<br />

19<br />

ATZENI, Al rogo il nemico dell’Inquisizione, «La Nuova Sardegna», 16<br />

luglio 1978.<br />

20<br />

ATZENI, Apologo del giudice bandito, cit., p. 89.<br />

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cani bagnati, «stretta, provinciale, untuosa, morta» 21 . È figlio<br />

di una generazione che molto ha sognato, anche l’impossibile,<br />

le spiagge sotto l’asfalto, pari diritti e doveri per tutti, e<br />

tanta libertà. Una generazione passata dall’utopia agli anni<br />

di piombo, rifluita nella rassegnazione o peggio riciclata sotto<br />

altre bandiere. Dolorose e impietose sono le considerazioni<br />

su se stesso e sulla propria generazione: «Noi, gli sbandati,<br />

i fuori dal mondo che rifiutavano sia la guerriglia urbana che<br />

il ritorno nei ranghi, i figli dei fiori, i poeti, i rimbambiti, i<br />

pazzi, gli spaventati dalla velocità della storia e della tecnica<br />

e dell’assoluta assenza di guidatore, e quelli come me, che<br />

non sapevano che fare di se stessi e cercavano motivi per vivere,<br />

rimasugli di una generazione che ha tentato di cambiare<br />

il mondo perché sapeva che fa schifo, ma non sapeva che<br />

lo schifo ha costruito in millenni strutture solidissime di resistenza,<br />

le ha costruite con piramidi di sacrificati, le ha costruite<br />

anche nelle nostre anime. Guardavamo a occhi aperti<br />

e spaventati un mondo che non ci apparteneva» 22 .<br />

Nelle viscere della città bianca si sopravvive e si resiste: divorando<br />

cuori caldi ad «Anima degli Angeli», la sotterranea<br />

Cagliari post-atomica di Astrud, come in fondo al pozzo delle<br />

carceri di Un duello e dell’Apologo del giudice bandito,<br />

creando opere d’arte, con la miscela di sogno e azione, nella<br />

stanzetta sotterranea di Anche le pratiche possono morire. Si<br />

sogna e si resiste in mezzo alle paludi, nei quartieri popolari<br />

degradati, nella città murata, nella necropoli punica di Tuvixeddu,<br />

dove fino a non molto tempo fa viveva un popolo di<br />

21 ATZENI, Campane e cani bagnati, in Sì...otto!, cit., p. 30.<br />

22 ATZENI, Il quinto passo è l’addio, cit., p. 212.<br />

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