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la, e il mio stomaco comincia a pulsare come un cuore, e<br />

rifiuta il cibo che poco prima ha gradito.<br />

Ma non mi sveglierei, neanche se lo volessi fortemente,<br />

ché il sogno mi inchioda a se stesso più che la realtà quotidiana<br />

alle sue abitudini.<br />

Un sacrificio: io so già come il sogno andrà a finire – come<br />

la notte di ieri, come la notte di natale, come le notti di<br />

sempre – anche se vorrei fuggire. Ma è più forte di me. È<br />

un prezzo da pagare, notte dopo notte, un rito che non riesco<br />

a scongiurare.<br />

Il vialetto di ghiaia pian piano si restringe, mentre il sole<br />

continua a battere sulla camicia bianca, larga sui seni appesantiti,<br />

e sulla gonna bianca che potrebbe anche svolazzare,<br />

tutta di pieghe, ma sta immobile nell’aria senza vento,<br />

e sui sandali bianchi infantili che stringono i piedi sudati,<br />

finché non giungo agli eucaliptus, che offrono una<br />

pausa d’ombra, un momento di riposo e di quiete a questa<br />

incredibile me stessa tutta bianca – e mai, nelle mie giornate,<br />

mai e poi mai riuscirei a darmi quell’aria da collegiale<br />

vergine e fanciulla che quegli abiti candidi sotto il sole<br />

danno alla me stessa del sogno.<br />

Sotto gli eucaliptus, che hanno occupato i bordi della<br />

striscia di ghiaia, si respira. È una liberazione dal soffoco<br />

del sole, colla testa più concreta, meno vinosa, più rapida<br />

nei riflessi e nei pensieri. Il passo si mantiene pomeridiano<br />

e meridionale e estivo, con una sua interna lentezza, un<br />

andare lento di riposo, più riflessivo che nevrotico, passo<br />

di vacanza.<br />

A quel punto, recuperato appena il respiro, e appena sot-<br />

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taciuta l’ansia, sento alle mie spalle I Passi, che subito trasportano<br />

la leggerezza del sogno nelle oscurità dell’incubo.<br />

Potrei fermarmi, all’ombra, e voltarmi, per scoprire l’identità<br />

dei Passi, attenderli, e magari scambiare con loro<br />

quattro chiacchiere, passeggiando lenti nell’ora della digestione.<br />

Ma sento, in quei Passi, come una minaccia incombente,<br />

un principio di inseguimento, un nemico da cui è meglio<br />

fuggire.<br />

Il respiro mi si spezza, mentre vedo le gambe correre a<br />

perdifiato, come mai hanno corso, per conto loro, quasi<br />

con una propria autonoma volontà, che nasce dai miei<br />

muscoli, dalle mie ossa, dal mio corpo e dal mio fegato,<br />

non dalla mente, che se n’è andata, sparita sotto il sole.<br />

Vedo la macchia di eucaliptus, alle mie spalle, rimpicciolirsi,<br />

e scomparire gli orti e le arance.<br />

Tutto attorno il mondo si è trasformato in deserto: terra<br />

secca e spaccata, cespugli di erba giallastra e inutile, graniti<br />

che incombono come banditi da strada, e sole dappertutto,<br />

questo sole abbacinante che dissecca l’anima<br />

della terra e degli uomini.<br />

Corro senza più voltarmi, mentre in lontananza sento il<br />

passo sempre tranquillo del nemico, che non si affatica,<br />

un piede dopo l’altro con scansione da metronomo, con<br />

regolarità d’atleta. Sa che la preda non potrà dissolversi<br />

nella polvere, non potrà acquattarsi in questa pianura,<br />

con questa luce odiosa.<br />

Questa luce illumina ogni angolo, ogni scheggia di pietra,<br />

ogni insetto, ogni granello di polvere.<br />

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