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Separazione<br />
Gioacchino non riesce a dipingere, questa sera.<br />
Non dipinge. È immobile. Il piombo ribolle, nella grande<br />
pentola. Ma nessun pennello ne trae colore, e persino<br />
la polverina dorata si disperde come in un mare, non attecchisce,<br />
e il piombo resta colore del piombo.<br />
L’immobilità dell’antro è interrotta soltanto dal guizzare<br />
e lampeggiare della fiamma del fornello. Piccoli, luminescenti,<br />
infimi tizzoni incendiari attraversano il buio come<br />
fulmini artificiali alla festa di paese; ma, qui, senza<br />
botti. Fiammelle che attraversano il buio e lo spezzano, e<br />
dietro ognuna di loro, il buio si ricompone: è ancora più<br />
nero.<br />
Il fracasso della porticina che si apre spacca il silenzio in<br />
mille pezzi.<br />
Abramo spinge la porta con cautela. Si affaccia dall’uscio,<br />
e vede Gioacchino immobile, perduto nel buio.<br />
“Buonasera, signor giuda” sfruscia con voce roca il vecchietto<br />
elegante.”<br />
“Ah” una esclamazione soffocata tormenta per un attimo<br />
l’imperturbabile impiegato “sei riuscito a scamparla,<br />
malgrado tutto: la fortuna ti è stata amica.”<br />
“Il merito è tutto tuo, giuda carissimo. Quando sei saltato<br />
fuori, falciando quei poveri poliziotti, le beghine ti<br />
hanno seguito e ammirato fin sulla porta del sagrato, i poliziotti<br />
ti son corsi dietro, persino il prete svenuto ti ha seguito.<br />
Nella chiesa silenziosa, mi sono spogliato di tutti gli in-<br />
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gombri femminili, ho mollato tette di gomma e luger dietro<br />
l’altare, e sono sgusciato dalla porticina della sagrestia,<br />
in canottiera e pantaloncini corti.<br />
Per fortuna tengo sempre un abito pulito di scorta, nel<br />
retrobottega del negozio.<br />
Ho rispettato l’orario di apertura e quello di chiusura.<br />
Ci ho pensato per tutto il giorno: tu, stamattina, dentro<br />
quella chiesa maledetta, mi hai salvato, con un gesto da<br />
eroe, mi hai veramente abbandonato come sembravano<br />
voler dire i tuoi occhi?”<br />
Gioacchino sta immobile e muto, in cerca delle parole<br />
giuste.<br />
Biascica un pochino, prima di mollare una risposta.<br />
“Volevo vederti finire in galera” dice, voce moscia – e<br />
poi riprende tono “volevo vederti in galera. Finché non<br />
avrai provato cosa significa galera, non capirai la bellezza<br />
di questo tepore, e non apprezzerai questa tranquillità.<br />
Volevo che soffrissi, in galera. Tornassi domato, una buona<br />
volta.<br />
Tu devi dipingere queste ceramiche del cazzo.<br />
Devi continuare a farlo.” E Gioacchino trattiene il fiato<br />
per un minuto buono, prima di riprendere “perché il miracolo<br />
è avvenuto. Il piombo è diventato oro.”<br />
Abramo guarda l’amico, con gli occhi sgranati del drogato:<br />
attonito.<br />
“La magia l’hai completata tu, con quelle dita da strega:<br />
il servizio che hai finito di dipingere ieri, oggi l’ho portato<br />
dai migliori gioiellieri cagliaritani, e tutti l’hanno valutato<br />
‘oro zecchino’ e, come minimo, offrono diciotto milioni<br />
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