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cletta rombante, col vento che si avventa sui capelli, col<br />

viso protetto da un casco che ha i colori del metallo.<br />

La mia disperazione è qui dentro, in questa cantina<br />

umida e sordida, con questo calore di piombo fuso.<br />

Tu mi parli di sogni.<br />

Io preferisco la vita vera, ai sogni, Gioacchino.”<br />

“La vita vera di cui cianci, Abramo, porta dritta in galera.<br />

Vita vera. Galera. Bella rima.<br />

Qui nessuno ci disturba. Siamo protetti. Al caldo. Il nostro<br />

lavoro progredisce: le tazze si fanno sempre più credibili.<br />

Fra qualche tempo le nostre imitazioni – le tue, soprattutto<br />

– saranno in grado di ingannare anche un gonzissimo<br />

espertissimo gioielliere del centro. Quattrini a palate<br />

senza rischiare un dito. Stando al coperto, nel tepore.<br />

La pazienza umile di questi anni di apprendistato sta<br />

per avere il suo premio: il piombo-oro si trasformerà in<br />

oro-moneta: saremo ricchi, e riveriti. Niente più scrivanie,<br />

per Gioacchino: abiti di lino e crociere nei Caraibi.”<br />

Abramo picchia la scarpina sul pavimento di mattoni,<br />

con un gesto di stizza repressa, senza peraltro interrompere<br />

né danneggiare i volteggi della mano-farfalla; “perdio,<br />

Gioacchino” esplode con voce un po’ meno contenuta<br />

“tu non ti guardi mai allo specchio. Sei vecchio come<br />

un cucco. Sembri un corvo rattrappito. E non controlli il<br />

calendario: è da trent’anni che prometti il miracolo del<br />

piombo che si fa oro. Il nostro apprendistato ci porterà alla<br />

tomba, e ancora non sarà concluso.<br />

Gli abiti di lino e le crociere nei Caraibi li farà la tua anima<br />

immortale. Il tuo corpicino di vecchio si consumerà<br />

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qua dentro. In questo caldo tepore asfissiante, per me, almeno,<br />

è asfissiante.<br />

Io voglio respirare aria pura.”<br />

Il silenzio accompagna il pennellare dei vecchietti. Un<br />

silenzio che si protrae per ore.<br />

Finché Gioacchino riprende: “devo nuovamente osservare<br />

la tua sgradevole abitudine di perdere la calma e alterare<br />

la voce. Trent’anni di apprendistato non ti hanno<br />

cambiato. Ancora credi che basti pestare i piedi sul pavimento<br />

per averla vinta.”<br />

I due nuovamente tacciono, muti disegnatori curvi sulla<br />

ceramica.<br />

Ancora Gioacchino sceglie di interrompere il silenzio:<br />

“avanti, sentiamo, di quale banca si tratta, questa volta!”<br />

I due vecchietti sollevano il capo dal lavoro, si sorridono<br />

timidamente.<br />

“Sono le quattro del mattino” fa Abramo “ed è già ora<br />

di andare a dormire. Ne parliamo domani.”<br />

I vecchietti si accucciano, uno affianco all’altro, con addosso<br />

certi pigiami di vecchia lana di pecora, su quel lettino<br />

scuro che si vede in fondo all’antro, fra il buio e gli ultimi<br />

bagliori di una candela che si spegne su se stessa, consunta.<br />

Rapina e abbandono<br />

Chiunque li avesse visti anche diecimila volte, non li<br />

avrebbe riconosciuti. Saltano fuori da una finestrina al<br />

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