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Sabato 27 ottobre 2012 - Pacini Editore

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226<br />

na illuminazione, da un vulvologo, ovvero da uno specialista<br />

fornito di specifica preparazione multidisciplinare ginecologica,<br />

dermatologica ed anatomo-patologica 2 .<br />

L’utilizzo del colposcopio deve essere limitato a quello di fonte<br />

luminosa o, in particolari situazioni, a quello di strumento<br />

di ingrandimento eventualmente collegato a sistema video per<br />

fini didattici.<br />

Il test al blu di toluidina, noto anche come test di Collins,<br />

viene ancora ampiamente utilizzato ma va sottolineato che<br />

è gravato da una elevata percentuale di falsi positivi (lesioni<br />

infiammatorie ed ulcerazioni) e da una non trascurabile percentuale<br />

di falsi negativi soprattutto su lesioni neoplastiche intraepiteliali<br />

3 4 . Per tutti questi motivi in un moderno approccio<br />

diagnostico alle malattie vulvari questo test non dovrebbe più<br />

essere utilizzato in quanto, rispetto ad una accurata ispezione<br />

consapevole ad occhio nudo, non fornisce alcun elemento<br />

diagnostico aggiuntivo.<br />

Al termine dell’ispezione vulvare e della descrizione del<br />

reperto su cartella vulvologica è molto utile documentare<br />

l’aspetto clinico mediante una fotografia. Infatti anche la più<br />

accurata descrizione risulta spesso ancora troppo soggettiva e<br />

notevolmente variabile da una volta all’altra anche se eseguita<br />

dallo stesso medico.<br />

La biopsia<br />

La biopsia va considerata come un ausilio alla diagnosi e non<br />

un sostituto della capacità diagnostica del clinico.<br />

Di qui nasce la necessità di corredare il prelievo bioptico con<br />

una documentazione clinica riguardante l’anamnesi, la descrizione<br />

dell’ispezione clinica (con eventuale documentazione<br />

fotografica) e le ipotesi diagnostiche. Tutto ciò è indispensabile<br />

per il patologo nell’interpretazione delle lesioni dermatologiche<br />

vulvari, che solo raramente mostrano un quadro<br />

morfologico patognomonico.<br />

In questi casi il colloquio interdisciplinare tra patologo, ginecologo<br />

e dermatologo è fondamentale per superare eventuali<br />

limiti ed incomprensioni.<br />

Dal punto di vista tecnico le biopsie possono essere sia di tipo<br />

incisionale che escissionale. Nel primo caso mantengono un<br />

significato puramente diagnostico, mentre nel secondo possono<br />

assumere anche un ruolo terapeutico. La pinza a morso,<br />

utile sulla mucosa cervicovaginale, non deve essere utilizzata<br />

in sede vulvare in quanto fornisce un prelievo inadeguato per<br />

una accurata valutazione istologica, in ragione della superficialità<br />

ed esiguità del prelievo ed irregolarità dei margini.<br />

Il Keye’s punch ed il bisturi a lama fredda rappresentano gli<br />

strumenti più adatti per un corretto prelievo bioptico vulvare.<br />

Gli elettrodi ad ansa o a microago per elettrochirurgia, unitamente<br />

al laser CO2, sono validi strumenti che permettono, in<br />

analogia al bisturi a lama fredda, di modulare la profondità e<br />

l’estensione perimetrica del prelievo bioptico, ma possono essere<br />

causa di danni termici che inficiano la lettura istologica.<br />

Riflessioni conclusive<br />

La Vulvologia, per la sua recente istituzione e riconoscimento,<br />

rappresenta una superspecialità in cui sono ancora attivi ed<br />

in evoluzione dibattiti interdisciplinari su tematiche di tipo<br />

terminologico, classificativo e metodologico tese a superare<br />

l’approccio settoriale ai problemi vulvari, al fine di una migliore<br />

gestione clinica delle donne affette da disturbi vulvari<br />

unitamente ad una più accurata formazione della figura del<br />

vulvologo. Si può comunque affermare che le linee comportamentali<br />

in Vulvologia presentate in questo scritto rappresentano<br />

il corpo di conoscenze di base unanimemente accettate dai<br />

vulvologi odierni anche di differente estrazione specialistica e<br />

CONGRESSO aNNualE di aNatOmia patOlOGiCa SiapEC – iap • fiRENzE, 25-<strong>27</strong> OttOBRE <strong>2012</strong><br />

che se applicate garantiscono un corretto approccio clinico di<br />

primo livello alla donna con disturbo vulvare.<br />

Bibliografia<br />

1 Micheletti L, Preti M, Bogliatto F, et al. Vulvology. A Proposal for a<br />

Multidisciplinary Subspecialty. J Reprod Med 2002;47:715-7.<br />

2 Micheletti L, Bogliatto F, Lynch PJ. Vulvoscopy. Review of a Diagnostic<br />

Approach Requiring Clarification. J Reprod Med 2008;53:179-82.<br />

3 Micheletti L, Barbero M, Trivelli MR, et al. Unreliability of toluidine<br />

blue test in the early diagnosis of vulvar neoplasia. Cervix and l.f.g.t.<br />

1985;3:171-4.<br />

4 Joura EA, Zeisler H, Losch A, et al. Differentiating vulvar intraepithelial<br />

neoplasia from nonneoplastic epithelial disorders: the toluidine<br />

blue test. J Reprod Med 1998;43:671-4.<br />

La diagnostica delle lesioni dell’epitelio vulvare<br />

B. Ghiringhello, S.S. Privitera<br />

A.O. OIRM-S.ANNA, Dipartimento Diagnostica e Servizi, SC Anatomia<br />

Patologica, Torino<br />

Jeffcoate e Woodcock (1961) 1 propongono il termine “distrofia”<br />

per raggruppare tutte quelle situazioni di “difficile” o<br />

“cattivo” (dis-) “nutrimento” (trofè) della vulva, cioè di disordine<br />

della crescita epiteliale o di alterazione dell’architettura<br />

epiteliale e dermica che si manifesta come lesione bianca;<br />

però il problema della terminologia viene affrontato negli<br />

anni ’70 dalla società multidisciplinare ISSVD con lo scopo<br />

di uniformare la terminologia e raggruppare le lesioni preneoplastiche,<br />

analogamente a quanto fatto per la cervice uterina<br />

(New Nomenclature for Vulvar Disease, 1976) 2 ; ne nasce la<br />

classificazione che prevede il raggruppamento delle lesioni in:<br />

lichen sclerosus<br />

distrofia iperplastica con o senza atipia<br />

distrofia mista con o senza atipia<br />

La definizione delle VIN è stata accettata, in sostituzione della<br />

definizione “distrofia iperplastica con atipia”, nel 1986 dalla<br />

ISSVD e nel 1994 dalla WHO.<br />

In analogia alla classificazione delle lesioni displastiche della<br />

cervice uterina è stata proposta una classificazione in tre gradi<br />

della lesione displastica vulvare.<br />

Attualmente risulta chiaro che esistono forme morfologicamente<br />

e biologicamente diverse di VIN 3 che giustificano la<br />

suddivisione terminologica di Abell in VIN classica e VIN<br />

differenziata 4 5 .<br />

Nella VIN classica (indifferenziata) si fanno rientrare le varianti<br />

basaloide e condilomatosa, correlate con l’infezione da<br />

HPV (più spesso il ceppo 16) e frequentemente concomitanti<br />

con lesioni cervico-vaginali. La VIN differenziata non sembra<br />

essere correlata con infezione da HPV.<br />

Nella VIN classica si fa rientrare anche la Papulosi Bowenoide,<br />

una lesione che colpisce entrambi i sessi, che è caratterizzata<br />

dalla multifocalità e che non sembra avere rischio di<br />

progressione neoplastica. La forma condilomatosa della VIN<br />

classica è caratterizzata da marcata proliferazione, paracheratosi<br />

e ipercheratosi con aspetto ondulato dell’epitelio che<br />

rende conto degli aggettivi “condilomatoso” o “verrucoso”.<br />

Sebbene la proliferazione cellulare sia marcata con presenza<br />

di numerose figure mitotiche anche atipiche, in questa forma<br />

di VIN rimane una certa capacità di maturazione superficiale.<br />

Le cellule, di grandi dimensioni e con citoplasma eosinofilo,<br />

mostrano nuclei ingranditi con cromatina grossolana,spesso<br />

con plurinucleazioni e con evidente coilocitosi. La creste<br />

epidermiche mostrano base larga che si approfonda nel derma<br />

e sono separate da sottili papille dermiche che si spingono<br />

verso la superficie. Frequente è l’interessamento degli annessi<br />

pilo-sebacei.La VIN classica basaloide è caratterizzata da un

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