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Adesso sono nel vento - Comune di Rimini

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Terezin<br />

La strage degli innocenti<br />

Terezin è la città fortezza, a 60 km da Praga, che <strong>di</strong>venta, tra il 1941 ed il 1945, il ghetto<br />

dell’infanzia. Vi <strong>sono</strong> rinchiusi circa quin<strong>di</strong>cimila bambini ebrei, strappati ai loro genitori<br />

e sottoposti ad un brutale regime <strong>di</strong> vita.<br />

A gruppi <strong>sono</strong> trasportati ad Auschwitz e qui avvelenati col gas e bruciati nei forni crematori.<br />

Dei quin<strong>di</strong>cimila ragazzi, soltanto un centinaio <strong>sono</strong> ancora vivi al momento della<br />

liberazione da parte delle truppe sovietiche.<br />

Petz Fischl, 14 anni, è deportato qui, da Praga, <strong>nel</strong> 1943, in <strong>di</strong>cembre. Dietro si è lasciato<br />

l’infanzia, la gioiosa ansia <strong>di</strong> un bambino che si prepara trepidante alla scoperta dell’adolescenza.<br />

Le sue <strong>di</strong>ta battono con fatica sui tasti della sgangherata macchina.<br />

Scrive <strong>di</strong> sé e <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> altri bambini che ancora non sanno <strong>di</strong> essere destinati all’orrore<br />

finale <strong>di</strong> Auschwitz:<br />

“…Siamo abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle<br />

sette <strong>di</strong> sera, con la gavetta in pugno, per un po’ <strong>di</strong> acqua tiepida dal sapore <strong>di</strong> sale o <strong>di</strong><br />

caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare<br />

ogni uniforme scendendo dal marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo,<br />

alle botte, alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi,<br />

a salire in alto la montagna delle casse da morto, a vedere malati giacere <strong>nel</strong>la loro<br />

sporcizia e i me<strong>di</strong>ci impotenti. Ci siamo abituati all’arrivo perio<strong>di</strong>co <strong>di</strong> un migliaio <strong>di</strong> infelici<br />

e alla corrispondente partenza <strong>di</strong> un altro migliaio <strong>di</strong> esseri ancora più infelici”<br />

Anche Petr, <strong>di</strong>eci mesi dopo, partirà con un gruppo <strong>di</strong> questi infelici. Destinazione<br />

Auschwitz.<br />

Il loro piano prevede il trasferimento graduale degli abitanti del ghetto ai lager, la propaganda<br />

esibisce Terezin come un inse<strong>di</strong>amento modello. Invece ben presto iniziano i trasferimenti<br />

nei campi e dall’ottobre del 1942 il punto <strong>di</strong> arrivo è sempre Auschwitz. Sono<br />

circa 140.000 gli ebrei <strong>di</strong> Terezin: 33.529 muoiono <strong>nel</strong> ghetto, 88.196 finiscono <strong>nel</strong>le<br />

camere a gas, soltanto 17.247 vengono liberati l’8 maggio 1945. In questo luogo tre<br />

<strong>sono</strong> i drammi che lacerano la mente, la carne e la <strong>di</strong>gnità degli esseri umani che vi <strong>sono</strong><br />

ingabbiati: la promiscuità, la miseria, la fame.<br />

La promiscuità è <strong>di</strong>fficile, se non impossibile, da evitare: su un area che ha contenuto in<br />

precedenza un massimo <strong>di</strong> 7.000 abitanti, gli organizzatori nazisti stipano fino a 87.000<br />

persone. Questa tecnica <strong>di</strong> ammassamento fa parte <strong>di</strong> una precisa finalità che si inserisce<br />

<strong>nel</strong> piano elaborato da “tecnici della morte” allevati sotto l’ala <strong>di</strong> Hitler: l’estromissione<br />

degli ebrei dalla vita del Paese. Con l’isolamento e la piena <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> controllo<br />

dei quantitativi globali <strong>di</strong> vettovagliamento, i tedeschi pos<strong>sono</strong> applicare agevolmente<br />

la loro politica <strong>di</strong> affamamento. Queste con<strong>di</strong>zioni favoriscono un altro effetto tipico<br />

del ghetto e <strong>di</strong> tutti i concentramenti umani ad alto in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> affollamento: le epidemie.<br />

E’ la strage vera e proprio. La gente, sfinita dalla fame, muore per le strade. I cadaveri,<br />

che vengono raccolti ogni mattina, <strong>di</strong>ventano la componente normale <strong>di</strong> un paesaggio<br />

che sembra la rappresentazione <strong>di</strong> un delirante incubo notturno. L’altissimo mortalità<br />

“naturale”, aggiunta ai continui rastrellamenti per il fantomatico e misterioso viaggio<br />

all’est <strong>di</strong> gente che poi non torna più, fa sì che ognuno sia familiarizzato con l’idea<br />

della morte. Eppure da questo inferno dove non esistono materiali per dar vita a una<br />

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