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Adesso sono nel vento - Comune di Rimini

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spazio assegnato ai rappresentanti dell’A.N.P.I. i quali, oltre ad accompagnare i ragazzi<br />

avevano naturalmente <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> parola in sede <strong>di</strong> visita; il ruolo del testimone sul campo<br />

affidato, anche per una felice casualità fatta <strong>di</strong> incontri e <strong>di</strong> simpatie, ad un ex deportato<br />

politico, il Signor Manuel Garcia, internato a Mauthausen come repubblicano spagnolo,<br />

oppositore del regime franchista e rimasto a vivere sul posto con un ruolo quasi<br />

<strong>di</strong> custode della memoria del campo.<br />

Il messaggio che questo sopravvissuto comunicava agli studenti <strong>di</strong>ventava il messaggio<br />

espresso idealmente a nome <strong>di</strong> tutti gli ex deportati ed era fatto <strong>di</strong> valori altamente positivi<br />

ed incoraggianti: il coraggio, la forza, la libertà, la <strong>di</strong>fesa delle proprie idee. I giovani<br />

dovevano arrivare a comprendere che questi valori andavano vissuti e protetti con impegno<br />

in qualsiasi contesto, non soltanto genericamente con<strong>di</strong>visi.<br />

Alla morte del Signor Garcia, il ruolo del testimone-chiave, figura centrale del viaggio<br />

riminese ai lager, passò ad un altro sopravvissuto: il Signor La<strong>di</strong>slaus Zuk. Di origine<br />

polacca, Zuk era stato deportato dalla Polonia come politico sovversivo, sebbene all’epoca<br />

fosse solo un ragazzo, non associato a gruppi politici né a gruppi partigiani.<br />

Internato prima ad Auschwitz, venne selezionato per il lavoro e quin<strong>di</strong> trasferito a<br />

Mauthausen, infine <strong>nel</strong> sottocampo <strong>di</strong> Ebensee, dove venne liberato il 6 maggio 1945 e<br />

dove – per quanto strano possa sembrare – scelse <strong>di</strong> rimanere a vivere. Zuk ha accolto<br />

– e continua ad accogliere con il suo sorriso e la sua voce tranquilla e pacata– i gruppi<br />

<strong>di</strong> studenti in visita al terribile campo <strong>di</strong> Ebensee. Oggi sarebbe ben <strong>di</strong>fficile credere alla<br />

storia <strong>di</strong> orrore e <strong>di</strong> patimenti <strong>di</strong> quello che fu, allora, uno dei più terribili sottocampi <strong>di</strong><br />

Mauthausen, <strong>nel</strong> dopoguerra, smantellato e completamente bonificato e ad<strong>di</strong>rittura e<strong>di</strong>ficato<br />

come quartiere residenziale, se non ci fosse la presenza <strong>di</strong> un testimone oculare<br />

come Zuk.<br />

Ma visitare un campo <strong>di</strong> concentramento con gli studenti aveva soprattutto lo scopo <strong>di</strong><br />

raccontare loro una parte <strong>di</strong> storia spesso poco conosciuta e stu<strong>di</strong>ata, <strong>di</strong> rievocare gli<br />

orrori commessi, troppo a lungo taciuti o genericamente racchiusi <strong>nel</strong>la formula vaga<br />

delle “violenze <strong>di</strong> guerra” e soprattutto <strong>di</strong> esortarli a memorizzarli come monito per il presente<br />

e per il futuro. Orrori che andavano raccontati, pur avendo cura <strong>di</strong> non enfatizzarli<br />

per non cadere <strong>nel</strong> morboso e <strong>nel</strong> fascino represso del macabro che, sui più giovani e<br />

in<strong>di</strong>fesi, può essere molto pericoloso. “Non si voleva arrivare al cuore dei ragazzi facendo<br />

leva sull’emotività”, racconta sempre Giorgio.<br />

Un aspetto che ha sempre colpito molto i giovani che hanno preso parte ai nostri viaggi<br />

riguarda lo stato <strong>di</strong> conservazione dei campi e degli altri luoghi <strong>di</strong> visita come<br />

Hartheim, nonché l’atteggiamento della popolazione austriaca rispetto a questi pellegrinaggi.<br />

Mauthausen, lager ricostruito, riverniciato e conservato come obbligo imposto dalle<br />

potenze vincitrici all’Austria sconfitta appariva agli occhi dei giovani visitatori con uno<br />

strano aspetto <strong>di</strong> “finto vecchio”, un po’ come le ricostruzioni finte delle città nei parchi<br />

tematici. Grazie, tuttavia, alle strutture fondamentali del campo rimaste intatte,<br />

l’Appelplatz, le baracche, la stanza delle immatricolazioni, la camera a gas, il luogo<br />

riusciva sempre a dare un’idea abbastanza precisa ai ragazzi <strong>di</strong> che cosa fosse stato un<br />

campo <strong>di</strong> concentramento.

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