16 l’intimità del <strong>di</strong>scorso, la lezione <strong>di</strong> Pindaro si <strong>di</strong>sperde fatalmente. La tela, cm 400 per 200, venne acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione e oggi si trova al Museo <strong>di</strong> Brera. Col secondo, i suoi lavori cominciano a popolarsi <strong>di</strong> masse sempre più cospicue, <strong>di</strong> ar<strong>di</strong>te prospettive, <strong>di</strong> costumi pittoreschi. Il quadro recupera un episo<strong>di</strong>o della storia <strong>di</strong> Siracusa, cioè la liberazione della città dal tiranno Dionisio da parte <strong>di</strong> un eroe popolare, appunto Timoleone, nemico giurato <strong>di</strong> ogni tiranno. Quando questi morì, dopo aver restaurato democrazia e libertà, i suoi funerali si trasformarono in una apoteosi. Una folla strabocchevole accorre nella piazza principale, alla quale un colonnato e vari e<strong>di</strong>fici forniscono un’adeguata cornice. Protagonista assoluto, il popolo, non i funerali. L’autore ha un solo mezzo per riscattare il racconto dall’immobilismo: la luce e il colore, sfruttati sapientemente, con un volteggiare <strong>di</strong> bianchi che formano punti <strong>di</strong> orientamento. In primo piano, una donna con camicia bianca e la figlioletta a torso nudo, fanno da collegamento con le autorità in veste bianca che, in cerchio, chiudono la scena. Gli ultimi raggi <strong>di</strong> un caldo tramonto siciliano danno allo scenario un tenue colore rosaceo, che lo addolcisce. Con queste opere si apre un nuovo ciclo che fa perno sulle gran<strong>di</strong> tele. I motivi ispiratori della sua arte <strong>di</strong>ventano pagine celebri della storia romana che incarnano sogni <strong>di</strong> gloria tra squilli <strong>di</strong> tromba, garrire <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ere ed eserciti in armi. È il tempo dell’epopea. Anche il suo pennello parla <strong>di</strong> eroismo, <strong>di</strong> grandezza, <strong>di</strong> popoli in armi. Le tele si <strong>di</strong>latano. <strong>Sciuti</strong> viene in<strong>di</strong>cato come il pittore della luce, degli sfon<strong>di</strong> ariosi, del trionfo dei colori. Grazia e forza espressiva si fondono in felice sintesi. Che pone vari interrogativi e che ha pesato moltissimo sull’intera produzione dello <strong>Sciuti</strong>. GLI AFFRESChI <strong>Giuseppe</strong> Contarino Nel 1876, l’artista decide <strong>di</strong> trasferirsi a Roma, i cui monumenti sembrano alimentare la sua ispirazione. Aveva appena finito <strong>di</strong> ultimare Il tempio <strong>di</strong> Venere, una piccola tela <strong>di</strong> cm 60 per 50, acquistata per la Galleria Nazionale <strong>di</strong> Arte Moderna, ma oggi all’Avvocatura erariale, che viene invitato dall’Accademia <strong>di</strong> San Luca a partecipare alla gara per gli affreschi del nuovo Palazzo Provinciale <strong>di</strong> Sassari. <strong>Sciuti</strong> accetta e vince il concorso nazionale. Si rende necessaria una premessa. “<strong>Giuseppe</strong> <strong>Sciuti</strong> – è stato sostenuto dall’Accascina – poteva essere, ma non fu un grande affreschista. La sua strapotente personalità non poté adattarsi a subor<strong>di</strong>nare la decorazione all’architettura, ad uniformare le varie parti della decorazione stessa ad un prevalente concetto <strong>di</strong> ritmo o lineare o cromatico”. In realtà, i sui affreschi non furono molti, ma furono significativi. Da quelli del Palazzo del Consiglio provinciale <strong>di</strong> Sassari, a quelli della chiesa della Collegiata <strong>di</strong> Catania, a quelli del Palazzo Calanna, della chiesa del Castello Scammacca e della Cattedrale <strong>di</strong> Acireale, agli affreschi della villa <strong>di</strong> Lugano e del villino Durante <strong>di</strong> Roma,si può arrivare alla conclusione opposta che <strong>Sciuti</strong> fu un affreschista <strong>di</strong> valore. A Sassari era stato appena costruito l’importante Palazzo della Provincia. Bisogna adesso affrescarlo. Il lavoro si presentava iconograficamente complesso per il susseguirsi incalzante dei riquadri destinati alla storia sarda. Le estese campiture da decorare costituivano una opportunità e una sfida: l’opportunità <strong>di</strong> misurare le proprie forze con gran<strong>di</strong> affreschi, mai immaginati prima; la sfida <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nare in un <strong>di</strong>scorso unitario episo<strong>di</strong> appartenenti a perio<strong>di</strong> storici <strong>di</strong>fferenti, quasi fossero tessere <strong>di</strong> un mosaico scaturito dall’epopea del popolo sardo. <strong>Sciuti</strong> comincia a lavorare, ma si accorge subito che la proposta è irrealizzabile. Buon per lui che ogni comparto ha il senso della compiutezza,
dell’imponenza, della maestosità. Le tinte appaiono del tutto nuove, rispetto a quelle impiegate per il genere romano. Anche qui c’è la folla, ma i costumi sono ricchi <strong>di</strong> colore, <strong>di</strong> folklore, <strong>di</strong> fantasia, <strong>di</strong> storia locale. Come per una festa. La grande sala del Consiglio viene occupata, nella parete maggiore, dall’Entrata <strong>di</strong> Giommaria Angioj in Sassari, che va annoverato tra i migliori affreschidell’artista siciliano non solo perché qui la perfetta scansione luminosa consente <strong>di</strong> leggere a uno a uno i volti <strong>di</strong> chi partecipa al grande apparato celebrativo, ma, soprattutto, perché i colori usati rifuggono il rischio <strong>di</strong> appiattirsi nella omogeneità e sfociano in una sinfonia <strong>di</strong> tinte che trovano nel bianco un motivo <strong>di</strong> coesione. La proclamazione della Repubblica Sassarese L’ultima battaglia <strong>di</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Sciuti</strong> 17