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Sono trascorsi cento anni dalla morte di Giuseppe Sciuti, avvenuta a ...

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poteva essere, ma non fu un grande affreschista. La sua strapotente personalità non poté adattarsi a subor<strong>di</strong>nare la<br />

decorazione all’architettura, ad uniformare le varie parti della decorazione stessa ad un prevalente concetto <strong>di</strong> ritmo<br />

o lineare o cromatico. ogni parete era concepita come una tela <strong>di</strong> un quadro isolato. L’equivoco romantico applicato<br />

alla decorazione generava effetti catastrofici: se ogni parte della decorazione doveva avere una <strong>di</strong>versa finalità ora <strong>di</strong><br />

rievocare una battaglia, ora una scena patetica, ora un fatto storico non potevano essere felici i risultati da un punto <strong>di</strong><br />

vista decorativo”. Ci permettiamo <strong>di</strong>ssentire. Non bisognerebbe confondere l’affreschista, cioè la figura professionale<br />

in grado <strong>di</strong> riprodurre su una parete o su una volta narrazioni artistiche rispettose dei canoni stilistici, con quella <strong>di</strong> chi<br />

ha maturato l’idea che potrebbe coincidere, ma anche essere <strong>di</strong>verso dall’artista. <strong>Sciuti</strong> fu un affreschista, assai felice<br />

nelle sue creazioni, abbastanza estroso nel suo modo <strong>di</strong> esprimersi, fecondo nei suoi ritmi timbrici. Per accorgersene,<br />

bisogna concentrarsi sui singoli lavori; il resto, potrebbe non <strong>di</strong>pendere da lui.<br />

Più sottile è l’osservazione secondo la quale la forte personalità del pittore non gli consentiva <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nare la<br />

decorazione all’architettura. Non sembrerebbe così. In <strong>di</strong>verse occasioni, le architetture proposte entrano prepotentemente<br />

nel racconto, lo animano, lo definiscono, lo concludono. <strong>Sciuti</strong> era, anzi, naturalmente attratto dall’architettura<br />

delle città, che interpretava la cultura, il gusto e le esigenze <strong>di</strong> una comunità. È vero, come osservava Thomas Fuller,<br />

che sono gli uomini e non le cose a fare le città, ma è altrettanto inoppugnabile che l’apparato architettonico <strong>di</strong> un<br />

luogo, per un verso, costituisca una eloquente carta <strong>di</strong> presentazione della società che lo abita, del suo modo <strong>di</strong> agire<br />

e <strong>di</strong> pensare; per altro verso, ne influenza, entrando nel quoti<strong>di</strong>ano, la psiche e le azioni future.<br />

I LAVoRI DI ACIREALE<br />

L’ultima battaglia <strong>di</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Sciuti</strong><br />

Nella nostra città <strong>Sciuti</strong> è venuto in varie occasioni. Vantava molti amici, felici <strong>di</strong> ospitarlo. Dal 1897, lo troviamo<br />

impegnato con gli affreschi della Collegiata <strong>di</strong> Catania, ma soggiornava ad Acireale. Nella navata centrale, egli ha<br />

rappresentato Il passaggio dalle tenebre alla sapienza <strong>di</strong>vina, la Madonna che stende il mantello della misericor<strong>di</strong>a<br />

circondata da due file <strong>di</strong> Angeli, una Processione, I peccati mortali: avarizia, lussuria ed ira”. Dove manca l’estro<br />

supplisce l’esperienza. Questo ciclo non <strong>di</strong>spiacque all’opinione pubblica, ma non si può affermare che l’abbia<br />

entusiasmato. I <strong>di</strong>versi temi, che si rincorrono dentro cornici fin troppo pesanti, restano avulsi da ogni continuità e<br />

finiscono col perdere d’interesse. Di ben altro livello, l’Assunta della cupola, immersa in una luce che da violacea,<br />

si fa bianca per accogliere e fare risaltare l’azzurro del manto della Madonna, il cui volto è assai delicato e pieno <strong>di</strong><br />

stupore.<br />

Nella nostra città, <strong>Sciuti</strong> lavorò agli affreschi della Cattedrale. Il relativo contratto venne stipulato il 15 gennaio<br />

1905. Esso assegnava all’artista un termine <strong>di</strong> tre <strong>anni</strong> per realizzare il progetto presentato e un compenso <strong>di</strong> 16.000<br />

lire. All’importo, dovevano aggiungersi le spese per l’enorme palco, realizzato da Rosario Scaccianoce, sotto le <strong>di</strong>rettive<br />

<strong>di</strong> Mariano Panebianco, e i lavori in stucco affidati a Rosario Messina, che comportavano un esborso <strong>di</strong> altre<br />

4.000 lire. Va sottolineato il grande coraggio avuto dal Vescovo, dal Capitolo della Cattedrale e dall’Amministrazione<br />

comunale, i quali non esitarono minimamente ad affidare allo <strong>Sciuti</strong> la loro maggior chiesa, già ricca degli affreschi<br />

<strong>di</strong> Pietro Paolo Vasta nel transetto e <strong>di</strong> quelli dei fratelli Filocamo, nell’abside e nella Cappella <strong>di</strong> Santa Venera. Il

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