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Sono trascorsi cento anni dalla morte di Giuseppe Sciuti, avvenuta a ...

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iancato nella vetta, era garanzia <strong>di</strong> autenticità e <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento della battaglia nel catanese e controbilanciava l’esistenza<br />

<strong>di</strong> colonnati e templi romani. Il grande sipario, invero, non si soffermava sulla battaglia vera e propria, ma sul<br />

momento dei festeggiamenti, ai quali prendevano parte i condottieri vittoriosi, l’esercito indomito, donne e bambini<br />

festanti, e gli elefanti catturati all’esercito nemico.<br />

L’altro grande telone, quello realizzato per il Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo, è della fine degli <strong>anni</strong> Ottanta. Presenta<br />

Ruggero esce dal Palazzo Reale <strong>di</strong> Palermo dopo l’incoronazione. Il teatro, progettato da Giov<strong>anni</strong> Battista Filippo<br />

Basile e completato dal figlio Ernesto, si proponeva, per ampiezza, come il secondo <strong>di</strong> Europa, dopo l’Opéra <strong>di</strong><br />

Parigi.<br />

L’immenso sipario <strong>di</strong>spiega una scena <strong>di</strong> grande respiro, con una luce che idealmente raccorda i cavalieri che<br />

seguono Ruggero II con quelli posti in secondo piano. Il telone è stato visto da Stefania Petrullo, ( Kalos, 2011)<br />

come una specie <strong>di</strong> biglietto <strong>di</strong> visita scritto in una sorta <strong>di</strong> moderno volgare, con cui la città si consegnava al nuovo<br />

secolo.<br />

“Fu quello il capolavoro <strong>di</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Sciuti</strong>. Quella tela immensa non chiude, ma apre la scena verso indefiniti<br />

orizzonti, in una gran<strong>di</strong>osità spaziale che nessuna folla riempie restando dominatrice superba. Dai piani in cui la massa<br />

greve dei cavalli resta immersa nell’ombra, ai secon<strong>di</strong> piani in cui sfila il corteo che esce dal Palazzo Reale, sopra<br />

un tappeto <strong>di</strong> luce, ai terzi piani in cui il Palazzo Reale nel riposante riecheggiare <strong>di</strong> arcate, sconfina nel paesaggio<br />

solare; la coesione è qui serratamente ottenuta per classici equilibri, tra spazi pieni, tra ombre e la trionfante luce”<br />

(Maria Accascina, op. cit., pag. 67).<br />

LE oPERE CATANESI DELLA MATURITà<br />

L’ultima battaglia <strong>di</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Sciuti</strong><br />

Dopo il successo ottenuto col sipario del Teatro Massimo, da Catania giungono <strong>di</strong>verse commissioni <strong>di</strong> opere<br />

destinate al Municipio, al Castello Ursino, a palazzi privati. Tra le altre tele, Episo<strong>di</strong>o della spe<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Pisacane<br />

a Sapri, olio su tela <strong>di</strong> cm 531 per 252, Restauratio Aerari, olio su tela <strong>di</strong> cm 797 per 374, San Sebastiano dopo il<br />

martirio, olio su tela <strong>di</strong> cm. 295 per 210, Cesare rifiuta <strong>di</strong> guardare la testa recisa <strong>di</strong> Pompeo, olio su tela <strong>di</strong> cm.780<br />

per 386, l’Adultera, olio su tela <strong>di</strong> cm.505 per 330. <strong>Sono</strong> opere della maturità che riscattano la pesantezza accademica<br />

con felici tuffi nella verosimiglianza e con una pennellata più rapida e più sapida. Degna <strong>di</strong> nota appare, a nostro<br />

parere, l’interpretazione della <strong>morte</strong> <strong>di</strong> Carlo Pisacane a opera <strong>di</strong> quella stessa gente che egli pensava <strong>di</strong> liberare<br />

dall’oppressione borbonica.<br />

L’azione si svolge su una landa desolata, segnata da colline brulle, da un mare incupito e da un cielo rannuvolato,<br />

nella quale l’esercito borbonico attendeva i rivoltosi. Il patriota, semi sdraiato a terra, stringe al petto una ban<strong>di</strong>era<br />

tricolore, che invano un brutto ceffo tenta <strong>di</strong> strappargli. Impugna ancora la pistola, ormai senza più colpi in canna.<br />

La terrea espressione del suo volto sembra la maschera del dolore; le palpebre sono socchiuse, più che per il dolore<br />

fisico e la <strong>morte</strong> imminente, per il pensiero <strong>di</strong> essere stato ignobilmente tra<strong>di</strong>to. Una popolana bran<strong>di</strong>sce ferocemente<br />

un’accetta; un’altra è pronta a colpirlo con un sasso. Un soldato borbonico, con un cadavere tra le gambe, osserva<br />

impassibile l’esplosione <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria crudeltà. Alla scena principale fanno da corollario altre turpitu<strong>di</strong>ni: un popo-<br />

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