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Sono trascorsi cento anni dalla morte di Giuseppe Sciuti, avvenuta a ...

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ornamentali, alle spalle <strong>di</strong> Saffo, e dai musici <strong>di</strong>pinti sulla parete. In realtà, non era solo la mancanza <strong>di</strong> un uomo che<br />

la tormentava. Era anche quella <strong>di</strong> una donna che nutrisse i suoi stessi sentimenti, il suo stesso ardore, la sua stessa<br />

eccitazione, la sua stessa aggressività carnale. Saffo non esista a proclamare il suo amore omosessuale, giustificato<br />

da un preciso ambito culturale, per il quale questo tipo <strong>di</strong> erotismo si faceva canale <strong>di</strong> formazione nel contesto <strong>di</strong> un<br />

gruppo ristretto <strong>di</strong> donne. <strong>Sciuti</strong> ci mostra una bella donna piena <strong>di</strong> grazia, sfatando così la tesi <strong>di</strong> quanti vogliono<br />

Saffo brutta e ripugnante.<br />

Se egli non avesse preferito cogliere nel suo volto i segni <strong>di</strong> una passione travolgente per farne manifestazione <strong>di</strong><br />

alterità e le avesse donato un dolce sorriso, questa tela sarebbe entrata <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto nella storia dell’arte. Anche sul piano<br />

formale, il pittore appare particolarmente felice e ispirato: non trascura il dettaglio, ma non lo antepone al dramma,<br />

alle esigenze <strong>di</strong> un racconto veristico, qui particolarmente efficace.<br />

I SIPARI<br />

<strong>Giuseppe</strong> Contarino<br />

I due gran<strong>di</strong> teloni realizzati per il Teatro Massimo Bellini <strong>di</strong> Catania e per il Teatro Massimo <strong>di</strong> Palermo sono stati<br />

accolti con entusiasmo. L’idea <strong>di</strong> cimentarsi in questo campo era venuta a <strong>Sciuti</strong> lavorando con Domenico Morelli,<br />

alla decorazione del telone del Teatro Ver<strong>di</strong> <strong>di</strong> Salerno (1870). Egli aveva compreso che il sipario non solo separa il<br />

pubblico <strong>dalla</strong> scena, salvaguardando il piacere della sorpresa, ma si propone esso stesso come luogo <strong>di</strong> rappresentazione,<br />

<strong>di</strong> estraniamento, <strong>di</strong> evasione. La riproposizione <strong>di</strong> iconografie spesso legate a fatti e personaggi dell’antichità,<br />

aveva già sostituito gradualmente le sfarzose allegorie che, fin dal XVII secolo, avevano trasformato i sipari<br />

da semplici cortine in macchine sceniche. Quello della tematica epica, era il campo in cui il nostro pittore si sentiva<br />

particolarmente versato. Attraverso i buoni uffici <strong>di</strong> Mario Rapisar<strong>di</strong>, suo ottimo amico, egli propose al Comune <strong>di</strong><br />

Catania <strong>di</strong> acquistare La battaglia <strong>di</strong> Himera per il Teatro comunale che stava facendo costruire a proprie spese (verrà<br />

inaugurato la sera del 10 Novembre 1882 con Norma). L’idea venne accolta, il bozzetto, no. Eppure, esso veniva<br />

giu<strong>di</strong>cato uno dei lavori più belli mai fatti.<br />

La battaglia, svoltasi nel 480 a.C. riguardava l’esercito cartaginese <strong>di</strong> Amilcare, sbarcato in Sicilia con i suoi<br />

soldati <strong>di</strong> ventura, e quello siracusano <strong>di</strong> Gelone. Il <strong>di</strong>niego scaturiva, oltre che da motivi politici, <strong>dalla</strong> presenza <strong>di</strong><br />

alcune ragazze nude in primo piano, che avrebbero fatalmente attirato lo sguardo dello spettatore. La battaglia d’Himera,<br />

che, tra l’altro, riguardava i siracusani, non i catanesi, sarebbe passata alla storia non come esemplificazione<br />

dell’eroismo citta<strong>di</strong>no, ma come una vergogna. La commissione non <strong>di</strong>sprezzava la qualità formale del progetto e il<br />

ductus artistico dell’ autore, ma esigeva che venissero esaltati il prestigio e l’identità culturale della città. In segno<br />

<strong>di</strong> buona volontà, qualora <strong>Sciuti</strong> avesse approntato un nuovo bozzetto, essa avrebbe rinunciato preventivamente a<br />

ogni <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> critica. L’artista mal <strong>di</strong>gerì la bocciatura e, per dare una lezione <strong>di</strong> stile agli “esperti” catanesi, realizzò<br />

ugualmente la tela, sicuro che non sarebbe mancato chi l’avrebbe aquistata.<br />

Convinto dal Rapisar<strong>di</strong>, <strong>Sciuti</strong> poi ripiegò sul “Trionfo dei Catanesi sui Libici”. L’episo<strong>di</strong>o era totalmente inventato,<br />

ma titillava la vanagloria degli ambienti locali. Questa volta, l’accoglienza fu entusiastica. Il pittore si mostra<br />

perfettamente a proprio agio <strong>di</strong> fronte a “una tela” <strong>di</strong> oltre 140 metri quadrati. La presenza dell’Etna, fumante e im-

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