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matilde di canossa - Provincia di Reggio Emilia

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quattrocento anni dopo. Questa <strong>di</strong>fficoltà è ritrovabile in tanti elementi della<br />

cultura reggiana, basti ricordare che tutti i castelli che sono sopravvissuti al tempo<br />

nel nostro territorio, sono definiti matil<strong>di</strong>ci, quando in realtà ben pochi lo sono<br />

e in ogni caso trasformati quasi tutti intorno al Cinquecento. Tale problematica<br />

risulta quin<strong>di</strong> essere quanto mai attiva e viva andando ad analizzare prodotti<br />

tipici legati alla tra<strong>di</strong>zione gastronomica oppure alla consuetu<strong>di</strong>ne culturale<br />

conta<strong>di</strong>na, la quale priva <strong>di</strong> fondamenti storici attribuisce l’epiteto <strong>di</strong> prodotto<br />

matil<strong>di</strong>co a qualsiasi cosa persa nella notte dei tempi.<br />

Per quanto riguarda la cultura enogastronomica dalla quale rilevare delle punte<br />

<strong>di</strong> eccellenza o semplicemente delle peculiarità <strong>di</strong> valore, si debbono poi tenere<br />

in considerazione tutte le influenze e gli influssi vari che il territorio reggiano ha<br />

subito nel corso dei secoli. L’epoca matil<strong>di</strong>ca è il momento finale del percorso<br />

<strong>di</strong> trasformazione che ha portato la provincia <strong>di</strong> <strong>Reggio</strong> <strong>Emilia</strong> a tramutarsi<br />

completamente da colonia romana, a vocazione agricola predominante, quin<strong>di</strong><br />

con i terreni bonificati e messi a coltura e <strong>di</strong> matrice fondata sull’allevamento<br />

ovicaprino, a territorio longobardo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> fattore germanico, con alto tasso <strong>di</strong><br />

incolto e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> boscaglie, con allevamento brado <strong>di</strong> suini. La trasformazione<br />

da carne ovina a carne suina implica stravolgimenti paesaggistici, culturali, <strong>di</strong><br />

sapori e tra<strong>di</strong>zioni enormi, anche se alcuni retaggi restano, caso unico nell’intera<br />

<strong>Emilia</strong>, nella zona <strong>di</strong> Baiso con l’abitu<strong>di</strong>ne del consumo delle barzigole <strong>di</strong><br />

pecora. Conseguentemente a ciò anche il panorama agricolo reggiano <strong>di</strong>venne<br />

mutato nella sua interezza, cosicché il rigore storiografico, non permetterebbe ai<br />

territori pianeggianti, la caratteristica <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> colture in spazi larghi <strong>di</strong> cereali,<br />

frutta ed ortaggi, in quanto al tempo <strong>di</strong> Matilde, è conosciuto grazie ai testi<br />

coevi, che dalla via <strong>Emilia</strong>, ormai scomparsa ai margini del grande fiume Po<br />

non canalizzato in un unico alveo come è o<strong>di</strong>ernamente, si sviluppava un bosco<br />

planiziale talmente fitto e talmente intricato, che per attraversarlo occorrevano<br />

figure specializzate <strong>di</strong> guide del territorio.<br />

Per quanto riguarda invece la cucina dei tempi <strong>di</strong> Matilde, inevitabilmente basata<br />

sui prodotti del territorio, si deve ammettere, che la stragrande maggioranza<br />

<strong>di</strong> piatti, ricette e preparazioni, derivavano dall’antica cucina monastica, figlia<br />

<strong>di</strong> un rigore particolare, che vedeva nella crapula, già <strong>di</strong> per sé una forma <strong>di</strong><br />

peccato. I gran<strong>di</strong> banchetti decantati nei film e nelle ricostruzioni spesso<br />

erano rarissimi, tanto da trovare spazio nelle righe delle cronache del tempo,<br />

è il caso <strong>di</strong> quello celeberrimo che Matilde <strong>di</strong>ede per festeggiare la riavvenuta<br />

pacificazione tra Enrico IV e Gregorio VII, talmente fastoso, da essere decantato<br />

da Donizone, biografo contemporaneo a Matilde, nella sua Vita Mathil<strong>di</strong>s. Spesso

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