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matilde di canossa - Provincia di Reggio Emilia

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altri ingre<strong>di</strong>enti (talora persino delle mandorle amare), per mo<strong>di</strong>ficare il sapore e<br />

dell’immancabile nostro grana se ne fanno dei morselli rettangolari, chiusi entro<br />

pasta sfoglia, che vengono poi cotti nell’acqua e presentati in tavola asciutti,<br />

fumanti, stesi a strati, in una zuppiera o in un bacino, abbondantemente con<strong>di</strong>ti<br />

con burro nostrano freschissimo e grana stravecchio…”<br />

Importantissima ai fini della certificazione S.T.G. e della normativa riferita<br />

ai venticinque anni è poi la ricetta che compare sul Breve manuale del mangiare<br />

reggiano: “…tortelli ver<strong>di</strong>, tortelli ripieni con biete, per il ripieno 1 chilo <strong>di</strong> biete,<br />

250 grammi <strong>di</strong> puina o ricotta fresca, 200 grammi <strong>di</strong> Parmigiano Reggiano<br />

grattugiato, 80 grammi <strong>di</strong> burro, noce moscata. Lessare e strizzare bene le bietole<br />

utilizzando solo la foglia che farete rosolare in una padella con il burro. Fuori<br />

dal fuoco aggiungere la ricotta, il Parmigiano la noce moscata, il sale ed il pepe.<br />

Procedere al riempimento dei tortelli con tale pesto nel modo solito. Cuocerli<br />

in abbondante acqua salata e con<strong>di</strong>rli con burro e Parmigiano. Vi consiglio <strong>di</strong><br />

scaldare prima il piatto dove con<strong>di</strong>re i tortelli onde facilitare lo scioglimento del<br />

burro per consentire una perfetta e rapida amalgama…”<br />

CASTAGNA<br />

Alla castagna ed all’Appennino Reggiano è in<strong>di</strong>ssolubilmente legato il nome<br />

<strong>di</strong> Matilde <strong>di</strong> Canossa, alla quale secondo la tra<strong>di</strong>zione, si deve una politica <strong>di</strong><br />

piantumazione a larga scala a partire dalla collina, fino ad alta quota. Questo<br />

perché le popolazioni che vivevano arroccate sui monti, spesso erano vessate<br />

da una carestia e da un’ine<strong>di</strong>a cronica, dovuta alle <strong>di</strong>fficoltà naturali che un<br />

clima ed un terreno come quello montano offrivano per vivere. Matilde quin<strong>di</strong>,<br />

commossa dalla povertà <strong>di</strong> queste genti, offrì loro la pianta del castagno, che li<br />

avrebbe alimentati per tutto l’anno. Ora il limite tra realtà e leggenda a volte<br />

è <strong>di</strong>fficile da <strong>di</strong>stricare, tuttavia la montagna reggiana è ricca <strong>di</strong> antichissimi<br />

castagneti, che per secoli hanno fornito l’elemento basilare per la cucina<br />

montanara. Sebbene la castagna fosse conosciuta ed in maniera massiccia in<br />

epoca classica, sia per quanto riguarda le virtù, che i pericoli, si deve fare notare<br />

che nel corso nel Trecento essa <strong>di</strong>venterà non più un cibo per nobili, qual’era in<br />

precedenza, ma il cibo per i poveri per eccellenza, quasi a sottolineare campagne<br />

<strong>di</strong> piantumazione, simili a quella attribuita a Matilde. Da quel momento infatti,<br />

si inizierà a parlare anche <strong>di</strong> maroni, più consoni alle tavole nobiliari ed al cibo<br />

ricco. La tra<strong>di</strong>zione gastronomica montanara trabocca <strong>di</strong> pietanze che vedono<br />

come protagonista la castagna, sia bollita, che arrosto, ma soprattutto seccata

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