Genealogia Della Morale - il portale di "rodoni.ch"
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- Ma <strong>di</strong> tempo in tempo mi sia concesso - posto che esistano <strong>di</strong>vine<br />
protettrici, al <strong>di</strong> là del bene e del male - uno sguardo, mi sia<br />
concesso "un solo" sguardo su qualcosa <strong>di</strong> perfetto, <strong>di</strong> compiuto,<br />
felice, potente, trionfante, tale ancora da incutere qualche timore!<br />
Su un uomo, che giustifichi l'uomo su un felice accidente,<br />
complementare e salvifico dell'uomo, in grazia del quale si possa<br />
continuare ad "aver fede nell'uomo". Poiché è così: l'immiserimento e<br />
<strong>il</strong> livellamento dell'uomo europeo cela in sé <strong>il</strong> nostro più grande<br />
pericolo, perché questo spettacolo rende stanchi... Oggi non ve<strong>di</strong>amo<br />
niente che voglia <strong>di</strong>ventare più grande, si ha <strong>il</strong> presagio che tutto<br />
continui ad affondare sempre più in basso, e si faccia sempre più<br />
sott<strong>il</strong>e, più buono, più intelligente, più confortevole, più me<strong>di</strong>ocre,<br />
più in<strong>di</strong>fferente, più cinese, più cristiano - l'uomo, e questo è<br />
indubbio - si fa sempre «migliore»... E questo è appunto <strong>il</strong> fatale<br />
destino d'Europa - col timore per l'uomo abbiamo perso anche l'amore,<br />
la venerazione, la speranza e la volontà verso l'uomo stesso. La vista<br />
dell'uomo rende ormai stanchi - e che cosa è oggi <strong>il</strong> nich<strong>il</strong>ismo se non<br />
"questo"?... Siamo stanchi "dell'uomo"...<br />
13.<br />
- Ma torniamo in<strong>di</strong>etro: <strong>il</strong> problema dell'altra origine del «buono»,<br />
del buono visto dall'uomo del "ressentiment", deve essere risolto -<br />
Che gli agnelli non amino i gran<strong>di</strong> uccelli predatori non sorprende<br />
nessuno: ma non autorizza certo a rimproverare i gran<strong>di</strong> predatori per<br />
<strong>il</strong> fatto <strong>di</strong> cacciare gli agnellini. E se gli agnelli <strong>di</strong>cono tra loro:<br />
«Questi predatori sono malvagi; e chi è rapace <strong>il</strong> meno possib<strong>il</strong>e, anzi<br />
chi è ad<strong>di</strong>rittura l'opposto, un agnello cioè, non dovrebbe essere<br />
buono?», non possiamo certo biasimare questo criterio <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficazione<br />
<strong>di</strong> un ideale, anche se i predatori stessi considereranno la cosa con<br />
un certo scherno e si <strong>di</strong>ranno probab<strong>il</strong>mente: «"Noi" non li o<strong>di</strong>amo<br />
affatto, questi buoni agnelli, anzi li amiamo, niente è più squisito<br />
<strong>di</strong> un tenero agnello». - Pretendere dalla forza che essa "non" si<br />
manifesti come forza, che essa "non" sia volontà <strong>di</strong> sopraffazione,<br />
volontà <strong>di</strong> oppressione, <strong>di</strong> potere, che essa non sia sete <strong>di</strong> nemici e<br />
<strong>di</strong> resistenze e <strong>di</strong> trionfi, è tanto assurdo come <strong>il</strong> pretendere dalla<br />
debolezza che essa si manifesti come forza. Un "quantum" <strong>di</strong> forza è un<br />
preciso "quantum" <strong>di</strong> istinto, <strong>di</strong> volontà, <strong>di</strong> azione - anzi non è altro<br />
che questo istinto, questa volontà questa azione stessa, e solo la<br />
seduzione del linguaggio (e degli errori fondamentali, in essa<br />
pietrificati, della ragione) che intende e fraintende ogni agire come<br />
con<strong>di</strong>zionato da un agente, da un «soggetto», può far apparire la cosa<br />
sotto una luce <strong>di</strong>versa. Così come infatti <strong>il</strong> popolo separa <strong>il</strong> fulmine<br />
dal suo baleno e considera quest'ultimo come un "fare", come l'azione<br />
<strong>di</strong> un soggetto che si chiama fulmine, così la morale popolare separa<br />
la forza dalle manifestazioni della forza, come se al <strong>di</strong> là del forte<br />
esistesse un sostrato in<strong>di</strong>fferente, <strong>il</strong> quale sarebbe "libero" <strong>di</strong><br />
manifestare o no la forza. Ma un tale sostrato non esiste, non esiste<br />
nessun «essere» <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> fare, l'agire, <strong>il</strong> <strong>di</strong>venire: «colui che fa» è<br />
solo un accessorio inventato dal fare - <strong>il</strong> fare è tutto. Il popolo, in<br />
fondo, raddoppia <strong>il</strong> fare; quando fa balenare <strong>il</strong> lampo, si tratta <strong>di</strong> un<br />
far fare: l'avvenimento viene posto prima come causa e poi, la seconda<br />
volta, come effetto <strong>di</strong> questa. I naturalisti non si comportano<br />
<strong>di</strong>versamente, <strong>di</strong>cendo: «La forza muove, la forza produce» e via <strong>di</strong><br />
seguito - tutta la nostra scienza, malgrado tutta la sua freddezza o<br />
la sua liberazione dal sentimento, soggiace ancora alla seduzione del<br />
linguaggio e non si è liberata dei falsi bastar<strong>di</strong>, dei «soggetti»<br />
(l'atomo, per esempio, è uno <strong>di</strong> questi bastardelli, così come la «cosa<br />
in sé» kantiana): nessuna meraviglia quin<strong>di</strong> se i sentimenti repressi<br />
<strong>di</strong> vendetta e <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o, ancora ardenti sebbene nascosti, sfruttino<br />
questa fede ai propri fini, e, in fondo, non tengano viva più<br />
profondamente altra fede se non quella nella "libertà <strong>di</strong> scelta del<br />
forte" <strong>di</strong> farsi debole, e dell'uccello rapace <strong>di</strong> farsi agnello - col<br />
che si conquistano <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> "imputare" all'uccello da preda <strong>il</strong>