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Genealogia Della Morale - il portale di "rodoni.ch"

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«"Esiste" un regno della verità e dell'essere, ma proprio la ragione<br />

ne è esclusa!»... (Detto per inciso: ad<strong>di</strong>rittura ancora nel concetto<br />

kantiano <strong>di</strong> «carattere intelligib<strong>il</strong>e delle cose» c'è qualche residuo<br />

<strong>di</strong> questa voluttuosa <strong>di</strong>sarmonia da asceta, che ama rivolgere ragione<br />

contro ragione: infatti «carattere intelligib<strong>il</strong>e» significa in Kant<br />

una specifica modalità delle cose <strong>di</strong> cui l'intelletto capisce solo che<br />

essa per l'intelletto è, "in tutto e per tutto incomprensib<strong>il</strong>e".) - E<br />

noi, proprio come uomini interessati alla conoscenza, non dobbiamo,<br />

infine, mostrarci ingrati contro questi risoluti ribaltamenti delle<br />

abituali prospettive e valutazioni, con cui troppo a lungo lo spirito<br />

ha infuriato contro se stesso in maniera apparentemente empia e<br />

ster<strong>il</strong>e: vedere una volta in modo così <strong>di</strong>verso, "voler" vedere<br />

<strong>di</strong>versamente è una non piccola <strong>di</strong>sciplina e appren<strong>di</strong>stato<br />

dell'intelletto alla sua passata «obiettività» - obiettività intesa<br />

non come «intuizione <strong>di</strong>sinteressata» (che in quanto tale è un nonconcetto<br />

e un controsenso), ma come la capacità "<strong>di</strong> avere in pugno",<br />

<strong>di</strong> fare e <strong>di</strong>sfare <strong>il</strong> proprio pro e contro: così che si impara a<br />

ut<strong>il</strong>izzare per la conoscenza proprio la "<strong>di</strong>versità" delle prospettive<br />

e delle interpretazioni affettive. Signori f<strong>il</strong>osofi, d'ora innanzi<br />

guar<strong>di</strong>amoci meglio dal pericoloso, antico favoleggiamento concettuale,<br />

che ha posto un «soggetto della conoscenza puro, senza volontà, senza<br />

dolore, al <strong>di</strong> fuori del tempo»; guar<strong>di</strong>amoci dai tentacoli <strong>di</strong> tali<br />

concetti contrad<strong>di</strong>ttori come «ragion pura», «spiritualità assoluta»,<br />

«conoscenza <strong>di</strong> sé»; - qui si esige sempre <strong>di</strong> pensare un occhio che non<br />

può essere pensato, un occhio che non deve avere proprio nessuna<br />

<strong>di</strong>rezione, in cui devono essere interrotte, devono mancare le attive<br />

forze, interpretanti, grazie alle quali soltanto <strong>il</strong> vedere <strong>di</strong>venta un<br />

vedere qualcosa; qui si esige dunque sempre un controsenso e un non<br />

concetto <strong>di</strong> occhio. Esiste "solo" un vedere prospettico, "solo" un<br />

«conoscere» prospettico; e "quanti più" affetti facciamo parlare a<br />

proposito <strong>di</strong> una cosa, "quanti più" occhi, occhi <strong>di</strong>versi sappiamo<br />

adoperare in noi per la stessa cosa, tanto più completo sarà <strong>il</strong> nostro<br />

«concetto» <strong>di</strong> essa, la nostra «obiettività». Ma eliminare in genere la<br />

volontà, deporre gli affetti nel loro complesso, ammesso che ne<br />

fossimo capaci: come? non significherebbe "castrare" l'intelletto?...<br />

13.<br />

Ma torniamo in<strong>di</strong>etro. Una tale autocontrad<strong>di</strong>zione, quale quella che<br />

sembra rappresentarsi nell'asceta, «vita "contro" vita» - e questa è<br />

la cosa più evidente già a prima vista - a una verifica fisiologica e<br />

non più psicologica, appare come un non senso. Essa può solo essere<br />

"apparente", deve essere una specie <strong>di</strong> espressione momentanea,<br />

un'interpretazione, una formula, una sistemazione, un equivoco<br />

psicologico su qualche cosa la cui vera natura per lungo tempo non<br />

poté essere compresa, per lungo tempo non poté essere designata "in<br />

sé" - una parola e niente altro, incuneata nella antica "lacuna" della<br />

conoscenza umana. E per esporre in breve <strong>il</strong> dato <strong>di</strong> fatto opposto:<br />

"l'ideale ascetico nasce dall'istinto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e <strong>di</strong> salvezza <strong>di</strong> una<br />

vita in degenerazione", che cerca <strong>di</strong> affermarsi con tutti i mezzi e<br />

che lotta per la propria esistenza; esso segnala una inibizione<br />

fisiologica e un affaticamento, contro cui si battono senza tregua e<br />

con mezzi e invenzioni nuove gli istinti più profon<strong>di</strong> e ancora intatti<br />

della vita. L'ideale ascetico è uno <strong>di</strong> questi mezzi: è dunque proprio<br />

<strong>il</strong> contrario <strong>di</strong> quanto pensano gli adoratori <strong>di</strong> questo ideale - la<br />

vita lotta in esso e per suo tramite con la morte e "contro" la morte,<br />

l'ideale ascetico è un artificio nella "conservazione" della vita. Che<br />

questo poi potesse dominare e impadronirsi degli uomini tanto quanto<br />

la storia ci insegna, e proprio dove si affermò la civ<strong>il</strong>izzazione e<br />

l'addomesticamento dell'uomo, costituisce l'espressione <strong>di</strong> un gran<br />

dato <strong>di</strong> fatto: la "con<strong>di</strong>zione" malata del tipo umano fino ad oggi, per<br />

lo meno del tipo umano ormai domato, la lotta fisiologica dell'uomo<br />

con la morte (più precisamente: con <strong>il</strong> te<strong>di</strong>o della vita, con<br />

l'affaticamento, col desiderio della «fine»). Il sacerdote asceta è <strong>il</strong>

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