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Genealogia Della Morale - il portale di "rodoni.ch"

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<strong>di</strong> storie oscure e dubbie, dove possano liberamente crogiolarsi in un<br />

sospetto d<strong>il</strong>aniante e stor<strong>di</strong>rsi al veleno della loro stessa perfi<strong>di</strong>a -<br />

mettono a nudo le ferite più antiche, si <strong>di</strong>ssanguano aprendo cicatrici<br />

ormai chiuse; trasformano in malfattori l'amico, la moglie, <strong>il</strong> figlio<br />

e tutti quanti sono loro più vicini. «Soffro: qualcuno deve averne<br />

colpa» - questo pensa ogni pecora malata. Ma <strong>il</strong> suo pastore, <strong>il</strong><br />

sacerdote asceta, le <strong>di</strong>ce: «E' vero, pecora mia! qualcuno ne ha colpa:<br />

ma questo qualcuno sei tu stessa, tu e solo tu sei la colpevole - "tu<br />

e solo tu sei colpevole <strong>di</strong> te stessa!"»... - Questo è audace quanto<br />

basta e falso quanto basta: ma per lo meno così si raggiunge una cosa,<br />

così, come si è detto, la rotta del "ressentiment" è... "mutata".<br />

16.<br />

Ormai si indovina quello che, a mio giu<strong>di</strong>zio, l'istinto terapeutico<br />

della vita, ha per lo meno "tentato" per mezzo del sacerdote ascetico,<br />

e lo scopo per <strong>il</strong> quale si è dovuto servire <strong>di</strong> una temporanea tirannia<br />

<strong>di</strong> concetti tanto paradossali e parologici come «colpa», «peccato»,<br />

«peccaminosità», «depravazione» «dannazione»: per rendere cioè,<br />

parzialmente "innocui" i malati, per costringere gli inguarib<strong>il</strong>i<br />

all'autoeliminazione, per in<strong>di</strong>rizzare i malati non gravi unicamente<br />

contro se stessi, retroguidando <strong>il</strong> loro "ressentiment" («una cosa sola<br />

è necessaria») e per "sfruttare" così gli istinti malvagi <strong>di</strong> ogni<br />

sofferente in vista dell'auto<strong>di</strong>sciplina, dell'autocontrollo,<br />

dell'autosuperamento. E' ovvio che non si può trattare assolutamente,<br />

con una «me<strong>di</strong>cazione» <strong>di</strong> questo tipo, una semplice me<strong>di</strong>cazione<br />

affettiva, <strong>di</strong> un'autentica "guarigione" del malato in senso<br />

fisiologico; non si potrebbe nemmeno affermare che qui l'istinto della<br />

vita abbia mirato intenzionalmente alla guarigione. Da una parte, una<br />

specie <strong>di</strong> concentrazione e <strong>di</strong> organizzazione dei malati (<strong>il</strong> termine<br />

più popolare per definirla è «Chiesa»), dall'altra, una specie <strong>di</strong><br />

momentanea messa in salvo <strong>di</strong> chi è più sano, <strong>di</strong> chi è più<br />

compiutamente strutturato, <strong>il</strong> conseguente aprirsi <strong>di</strong> un "abisso" tra<br />

sano e malato - questo per lungo tempo, fu tutto. E fu molto!<br />

"Moltissimo!"... [In questa trattazione, come si vede, parto da un<br />

presupposto che, in considerazione dei lettori <strong>di</strong> cui ho bisogno, non<br />

sono tenuto a provare preventivamente - e cioè che la «peccaminosità»<br />

dell'uomo non sia un dato <strong>di</strong> fatto, ma piuttosto solo<br />

l'interpretazione <strong>di</strong> un dato <strong>di</strong> fatto, cioè <strong>di</strong> un malumore fisiologico<br />

- visto quest'ultimo in una prospettiva morale-religiosa che non ha<br />

più niente <strong>di</strong> vincolante per noi. - Col fatto che qualcuno si "sente"<br />

«colpevole», «peccaminoso», non viene ancora <strong>di</strong>mostrato che egli abbia<br />

ragione <strong>di</strong> sentirsi tale; allo stesso modo con cui qualcuno non è sano<br />

semplicemente perché tale si sente. Si ricor<strong>di</strong>no i famosi processi<br />

delle streghe: allora i giu<strong>di</strong>ci più oculati e clementi non nutrivano<br />

alcun dubbio <strong>di</strong> trovarsi in presenza <strong>di</strong> una colpa; le «streghe»<br />

"stesse non ne dubitavano" - eppure la colpa non esisteva! - Per<br />

esprimere in forma più ampia questo presupposto: lo stesso «dolore<br />

dell'anima» non ha per me alcun valore come dato <strong>di</strong> fatto, ma solo<br />

come un'interpretazione (interpretazione causale) <strong>di</strong> dati <strong>di</strong> fatto<br />

sino ad oggi non esattamente formulab<strong>il</strong>i; come qualcosa, quin<strong>di</strong>, che è<br />

ancora tutto campato in aria e scientificamente non vincolante - in<br />

verità una sola parola grassa al posto <strong>di</strong> un punto interrogativo secco<br />

- secco come un chiodo. Se uno non riesce a venire a capo <strong>di</strong> un<br />

«dolore dell'anima», questo non <strong>di</strong>pende, per <strong>di</strong>rla in maniera brutale,<br />

dalla sua «anima»; molto più probab<strong>il</strong>mente invece dalla sua pancia<br />

(parlando brutalmente come ho detto: con la qual cosa non si esprime<br />

certo <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> essere anche ascoltati brutalmente e brutalmente<br />

capiti...). Un uomo forte e armonico <strong>di</strong>gerisce le sue esperienze<br />

(incluse azioni e malefatte), come <strong>di</strong>gerisce i suoi pasti, anche se è<br />

costretto a inghiottire bocconi amari. Se non riesce «a venire a capo»<br />

<strong>di</strong> un'esperienza, questo tipo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>gestione è tanto fisiologica<br />

quanto ogni altra - e in realtà spesso unicamente una conseguenza <strong>di</strong><br />

quelle altre. Con sim<strong>il</strong>i idee, detto tra noi, si può essere ancora e

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