Scarica | Download - art a part of cult(ure)
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diventa immediatamente impalpabile e<br />
concreta condizione del pensiero che<br />
viene così murato dentro il nostro<br />
essere.<br />
E se p<strong>ure</strong> passo – con le scarpe –<br />
attraverso il piccolo gazebo di ghisa<br />
bianco senza accorgemene, e se solo<br />
salendo il gradino della più grande<br />
tenda nomade – ora scalzo – immersa<br />
tra i tessuti semitrasparenti che<br />
dividono gli spazi in stanze, io mi<br />
ricordo del luogo morto – del giardino<br />
morto – di quell’occidente che ho<br />
visitato senza poter accorgermi di esso, io resto azzerato da questo vento che mangia il<br />
mio cuore e il mio destino, e lo porta realmente nella vita quotidiana di questo mondo.<br />
L’odio è questo non poter andare oltre, nel peso della struttura sociale del presente come<br />
nell’astratta visione assoluta e generica dell’intera vita umana. Le prospettive sono delle<br />
invenzioni che l’uomo crea per non vedere continuamente questa ineliminabile condizione.<br />
L’equilibrio, afferma Burden con questa opera, a qualsiasi livello, sociale o politico,<br />
individuale o comune, non può esistere, perché annullerebbe gli esseri dalla faccia della<br />
terra.<br />
Il punto d’equilibrio del disequilibrio è l’unica cosa che possiamo rintracciare nel nostro<br />
presente. E la sua specificità presente non ha peso fuori nel più generico e astratto tempo<br />
che non predilige nessuna di queste specificità disponendole in un ordine.<br />
L’uomo è legato a questa fatica universale, che lo abita subdolamente senza bisogno di<br />
pesare sulla coscienza cosciente, ma abitando questa prima radice dell’essere un essere<br />
storico.<br />
Burden ci chiude nel fuoco di un’ironia dura come pietra ma che sta già alle nostre spalle,<br />
ma che rapisce in ogni istante ogni cosa che noi lasciamo esistere.<br />
Quei due luoghi ci abitano e ci consumano, e noi gli restiamo fedeli come davanti a uno<br />
specchio.<br />
Burden ci mostra la nostra esatta immagine, e la mette davanti a noi per farci specchiare<br />
in essa, e noi riconosciamo in essa noi stessi, e senza battere ciglio ci guardiamo non<br />
vedendo altro che noi.<br />
Questo processo è sociale, è politico, è individuale, è comunitario.<br />
Diamo la mano alla nostra morte, viva davanti a noi. E ridiamo con lei, e le nostre risa<br />
tagliano e uccidono altri esseri viventi, ma noi non ne sappiamo niente; anche se ora<br />
possiamo accorgercene.<br />
Imparo che la realtà brucia in un modo tanto serio da mostrare tutto quanto esattamente<br />
com’è!<br />
Nessuna interpretazione, nessuna invenzione. Solo lo spettro dell’osservazione.<br />
Il tempo è un olocausto senza direzione. Nessuna scelta è fatta. Ogni p<strong>art</strong>e è in<br />
desiquilibrio con l’altra, senza un ordine: il secondo fissa l’eternità come se stesso, e noi<br />
siamo nel mezzo.<br />
Questo cammino è una vivisezione del reale. E ad ogni passo ognuno di noi lo compie. Chi<br />
incontriamo ci specchia nel più pr<strong>of</strong>ondo innocuo tradimento. La realtà si nutre di noi,<br />
senza fatica, e il nostro cuore ha tutti i battiti.<br />
Esistono opere che non possono essere possedute, e questa è l’opera di Burden: opere<br />
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