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Ugo Ferranti: la galleria, un racconto che si continua a<br />
scrivere: Interiors | di Francesca Campli<br />
di Francesca Campli 25 aprile 2010 In appr<strong>of</strong>ondimenti | 1.040 lettori | No Comments<br />
Interiors non richiama istantaneamente a molti di noi il film di Woody Allen, forse<br />
perchè tra i primi del regista, forse perchè tra i meno celebri (o forse si tratta solo di una<br />
personale disattenzione). In quel film, il regista raccontava i conflitti interni di una famiglia<br />
newyorkese che, a lungo trattenuti, improvvisamente salivano in superficie ed<br />
esplodevano all’annuncio del padre di andarsene con un’altra donna.<br />
In questi giorni la storica galleria romana Ugo Ferranti ospita una mostra che nel titolo fa<br />
riferimento proprio a questo film. Ad un primo approccio, tuttavia, non appaiono evidenti<br />
le assonanze con gli affaires o con i temi trattati nel film. Per cogliere il reale valore di<br />
questa mostra – e così comprenderne la scelta del titolo – è necessario rallentare il nostro<br />
frenetico moto perpetuo e prendersi il tempo non solo per avvicinarsi alle opere esposte,<br />
ma per penetrarle. Anzi, per lasciarci penetrare da queste.<br />
S<strong>of</strong>fermandoci davanti i singoli lavori esposti – ognuno espressione di una ricerca <strong>art</strong>istica<br />
ben distinta che impiega strumenti e mezzi diversi l’uno dall’altro- un sottile richiamo<br />
emerge da questi, come una delicata eco, di racconti app<strong>art</strong>enenti ad un passato non del<br />
tutto dimenticato o ad un’intimità preziosamente celata che, a poco a poco, inizia a<br />
svelarsi. E quello che appare non sempre è facile da accogliere con animo impassibile e<br />
indifferente.<br />
I quattro giovani <strong>art</strong>isti in mostra – Cristina Falasca, Giorgia Fincato, Stefano Minzi e<br />
Maddalena Vantaggi – hanno in comune un linguaggio espressivo semplice, nel quale è<br />
facile rintracciare, senza troppo sforzo, elementi che fanno p<strong>art</strong>e anche della nostra<br />
esistenza o che ci riportano alla memoria esperienze personalmente vissute.<br />
89<br />
Nelle immagini di Stefano Minzi il<br />
recupero dei ricordi del passato è<br />
un’operazione apparentemente<br />
linerare. Il percorso di lettura, tuttavia,<br />
è ripetutamente stravolto da una<br />
tecnica grafica che sgrana le fotografie<br />
(dopo averle stampate su c<strong>art</strong>a) fino a<br />
renderle difficilmente interpretabili e, in<br />
alcuni casi, da una sovrapposizione di<br />
citazioni pubbliche e private che<br />
confonde i reali riferimenti. L’oscurità<br />
nella quale Minzi lascia queste<br />
immagini, sembra riflettere l’incertezza<br />
che spesso avvolge la memoria e<br />
l’incomprensione che permane in noi di<br />
fronte ad alcuni eventi che, come<br />
accade anche con queste immagini,<br />
necessitano di una certa distanza per<br />
essere messi a fuoco e compresi.<br />
Un diverso punto di osservazione<br />
richiedono anche i disegni di Giorgia<br />
Fincato. Su candidi fogli, l’<strong>art</strong>ista libera<br />
il segno, meticolosamente intrecciato in<br />
un groviglio che sembra poter<br />
continuare ad avanzare all’infinito. La<br />
visione ipnotica di questa maglia ci