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fece: la legge sul divorzio, l’aborto, la chiusura dei manicomi con la legge Basaglia. Ma,<br />
alla fine, tutto rientrò in una sorta di riflusso, e per me cominciò una grande amarezza.<br />
Per qualche anno non fotografai, poi decisi di rimuovere l’uomo dal centro del mio<br />
interesse, lasciando il vuoto, la s<strong>of</strong>ferenza, il dolore in una dimensione surreale. Così sono<br />
nate immagini come Vedute di Napoli n. 29. Egiziaca a Pizz<strong>of</strong>alcone (1980), in cui<br />
un’automobile che sembra un fantasma è in un vicolo in cui non c’è niente, opp<strong>ure</strong> il<br />
balcone che si sgretola in Largo Banchi Nuovi, la finestra finta di San M<strong>art</strong>ino… Tutte cose<br />
vere, in cui mi sono imbattuto casualmente. Ho scattato migliaia di foto, di cui ne scelsi<br />
settanta che sono state pubblicate nel libro Vedute di Napoli. Da questo momento in poi<br />
nel mio lavoro non c’è più riferimento alla quotidianità. Ogni mia fotografia potrebbe esser<br />
stata fatta cento anni fa, opp<strong>ure</strong> tra cento anni. C’è il silenzio.<br />
M. D. L.) Napoli: passato, presente, futuro. Questa città complessa e<br />
contraddittoria è sempre stata al centro del tuo lavoro. Continua ancora ad<br />
emozion<strong>art</strong>i, a suscitare in te meraviglia e curiosità?<br />
M. J.) La mia risposta c’entra in p<strong>art</strong>e. Sono napoletano di nascita e per scelta. Non sono<br />
andato via, anche se il prezzo che ancora sto pagando è alto. Nel senso che Napoli non è<br />
New York, Parigi o Londra, e per lavoro faccio continuamente il pendolare. Ma la città mi<br />
ha ripagato, perché abitare qui mi ha stimolato creativamente. Mi ha dato temi che,<br />
altrimenti, non avrei mai potuto trovare. L’antico, ad esempio, essendo nato nel centro<br />
storico della città, dove ci sono i ruderi, le pietre romane, opp<strong>ure</strong> il mare. La città è una<br />
fonte continua di ispirazione. Certamente mi sono scansato tutte quelle situazioni deleterie<br />
che fanno p<strong>art</strong>e di un certo teatro, di luoghi comuni, di quella dimensione popolare che<br />
non mi riguarda. L’ispirazione è stata anche indiretta, come in Eden (1995), nata da una<br />
mia rilettura della natura morta. A Capodimonte, dove ho lavorato anche per documentare<br />
fotograficamente le opere, si stava organizzando una mostra sulla natura morta.<br />
Guardando i quadri antichi, mi chiedevo come mai quel genere fosse finito. Certo, quelle<br />
rappresentazioni erano molto piacevoli e rassicuranti, belle tele di frutta e fiori con coppe<br />
ed altri oggetti, da collocare nel salotto o nella sala da pranzo. Decisi, così, di recuperare il<br />
genere, però lo ribaltai, facendolo diventare la metafora della violenza, dell’aggressività.<br />
96<br />
M. D. L.) Anche il mare, dicevi,<br />
nasce dal tuo essere napoletano.<br />
Cosa vuol dire per te fotografare il<br />
mare?<br />
M. J.) Il mare è sempre in una<br />
dimensione sospesa. E’ un mare<br />
primitivo e, anche quando c’è un<br />
oggetto, è estraniante e surreale.<br />
Anche in questo caso non prendo la<br />
macchina fotografica e scatto,<br />
l’immagine è sempre frutto di una<br />
ricerca, di una riflessione. Sapessi<br />
quanti chilometri di spiaggia ho fatto,<br />
senza scattare nemmeno una<br />
fotografia, opp<strong>ure</strong> per scattarla quando<br />
finalmente ho trovato quello che<br />
cercavo, magari all’alba! E’ una<br />
riflessione sull’infinito, come spazio e<br />
tempo. Questo mare che scopre lo<br />
scoglio e lo ricopre, anche ora mentre<br />
stiamo parlando, continua la sua<br />
azione. I miei sono pensieri costruiti.<br />
La dimensione di attesa.<br />
M. D. L.) Napoli, il Mediterraneo (il