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Scarica | Download - art a part of cult(ure)

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quindi, ha segnato fin dall’inizio il<br />

tuo linguaggio. In che modo gli<br />

spettacoli d’avanguardia,<br />

soprattutto il Living Theatre, sono<br />

stati determinanti?<br />

M. J.) Non c’è un modo specifico. Personalmente, ho lavorato molto con il teatro<br />

d’avanguardia. A Napoli ci sono stati grandi fermenti. Nella stessa area, ad esempio, a<br />

pochi metri di distanza c’erano il Teatro Instabile e altri due o tre teatri d’avanguardia.<br />

Vivevo il teatro dall’interno, collaborando nella realizzazione delle scenografie, che erano<br />

proiezioni, e anche recitando come comparsa. C’era un clima di grande p<strong>art</strong>ecipazione.<br />

M. D. L.) C’è una fotografia a cui ti senti p<strong>art</strong>icolarmente legato?<br />

M. J.) Vado a periodi. Le fotografie sono come i figli. A seconda del momento ne va difesa<br />

una, piuttosto che un’altra. Se potessi, comunque, rifarei tutto daccapo. Anche se ognuna<br />

di queste fotografie ha un senso. Ad esempio le foto della serie Frammenti con figura<br />

(1968), sono state esposte in occasione della mostra sui nudi, Dentro c<strong>art</strong>elle ermetiche,<br />

curata da Cesare Zavattini alla Galleria il Diaframma di Milano nel 1970. Già allora il nudo<br />

– parliamo della fine degli anni ’60! – era pur sempre il nudo. Trattandosi, poi, di nudo<br />

maschile era letteralmente scioccante. C’era, naturalmente, l’idea della trasgressione. Per<br />

quanto riguarda la tecnica, invece, mi rifacevo al cubismo. I miei riferimenti, infatti, non<br />

sono stati tanto la fotografia, quanto l’<strong>art</strong>e: il surrealismo, la metafisica… In questo caso,<br />

come dicevo, il cubismo. Incollai frammenti di specchio, gli uni sugli altri, su un pannello<br />

bianco di formica, fotografai il soggetto, che era accanto a me, guardando l’immagine<br />

riflessa nello specchio, spezzettata.<br />

M. D. L.) Non c’è casualità, quindi, nel tuo lavoro, ma una consapevole<br />

costruzione che p<strong>art</strong>e dalla riflessione. Qual è esattamente la metodologia?<br />

M. J.) Cambia di volta in volta. C’è sempre una riflessione sul mezzo, sull’importanza della<br />

scelta di un soggetto, sulle deformazioni prospettiche. C’è, quindi, una concettualità, come<br />

ad esempio in alcuni lavori sulla realtà e rappresentazione della realtà. Lavori che,<br />

purtroppo, non ho più, perché negli anni ’60 e ’70 la fotografia non aveva valore,<br />

soprattutto in Italia. Perciò mi capitava di spedire gli originali alle riviste che, anche se non<br />

li pubblicavano, non li restituivano. Né, del resto, io stesso mi preoccupavo di richiederli.<br />

Una volta fotografai un pezzo di strada con i sampietrini, studiando sempre il formato in<br />

considerazione del rapporto 1:1. Ricordo che a terra c’era il tappo di una bottiglia di<br />

Chinotto Neri. Dopo aver stampato la foto, con l’immagine del tappo riprodotta, ci misi un<br />

tappo vero. Opp<strong>ure</strong>, un’altra volta, fotografai il parabrezza di un’Ape su cui era incollato<br />

l’adesivo del Sacro Volto e feci un’operazione analoga, attaccando l’adesivo originale sulla<br />

fotografia.<br />

M. D. L.) Consideri la fotografia un impegno morale e civile. Da un certo tipo di<br />

fotografia antropologico-sociale – lontana, però, dal reportage fotogiornalistico –<br />

hai lasciato emergere, sempre di più, la componente simbolica, con un certo<br />

lirismo sempre accompagnato da ambiguità ed ironia.<br />

M. J.) Forse la parola ironia non mi sta troppo bene, almeno in relazione a Gli anni<br />

dell’impegno sociale. C’è sicuramente una maniera per bypassare la realtà con una visione<br />

che non cade nei luoghi comuni. Quello della fotografia sociale, in p<strong>art</strong>icolare, è stato un<br />

capitolo limitato agli anni 1970-1975. Nell’anno accademico ’69-’70, infatti, il direttore<br />

dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Franco Mancini – scenografo molto sensibile – mi<br />

nominò docente di fotografia, una materia d’insegnamento che prima di allora non<br />

esisteva. Eravamo in piena contestazione, con il voto di gruppo, ecc. ed i ragazzi erano<br />

impegnati sul fronte delle lotte sociali. La contestazione significava prendere una posizione<br />

precisa. In un contesto del genere non potevo continuare a fare le mie sperimentazioni,<br />

ma nello stesso tempo sentivo di non poter fare cronaca. Immagini come quelle della serie<br />

Ercolano (1972), opp<strong>ure</strong> Napoli. Ospedale psichiatrico (1977) e Napoli. Felice Anno<br />

(1974), sono schedat<strong>ure</strong> del malessere, della s<strong>of</strong>ferenza, facce di denuncia. Tutta questa<br />

storia era legata alla speranza che qualcosa sarebbe successo. Effettivamente qualcosa si<br />

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