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Edward Hopper a Roma: Impressioni | di Giuliana Bottino<br />
di Giuliana Bottino 23 aprile 2010 In appr<strong>of</strong>ondimenti,<strong>art</strong>i visive | 1.355 lettori | 2<br />
Comments<br />
Ottimo Edward Hopper (1882-1967).<br />
Per gli scorci defilati, per la velocità del<br />
segno, per l’abbacinare della luce degli<br />
esterni e per quella al neon, tutta<br />
televisiva degli interni. L’architettura<br />
schiaccia le persone ridotte a<br />
movimenti veloci o pause eterne, a<br />
torsioni, ma impietriti in un p<strong>art</strong>icolare:<br />
le scarpe buttate a lato e riverse del<br />
nudo di donna in camera da letto,<br />
l’espressione corrugata di un volto<br />
maschile tracciata dalle sole<br />
sopracciglia marcate. L’esperienza di<br />
vignettista ha lasciato il segno<br />
nell’astrazione iperrealistica della sua pittura. Una pittura ad olio o ad acquarello,<br />
marcata dalla campit<strong>ure</strong> di tetti bianchi o plumbei, comunque ampi e demarcanti la tela<br />
come su due piani, sempre: quello esterno, quello interno, come in una sceneggiatura del<br />
presente. “Io non credo nella pittura pura – diceva, alludendo a Cezanne – fine a se<br />
stessa, ma a quella comprensibile all’umanità”.<br />
Contemporaneo è questo senso sempre circostanziato in uno spazio e in un tempo ad un<br />
pubblico. Ma nello stesso tempo eterna è la dimensione che ricrea nel rapporto tra figura<br />
umana e paesaggio urbano o di villeggiatura. Il p<strong>art</strong>icolare di una finestra, o di un<br />
pavimento, viene segnato dalla luce sempre accecante e sposta la sua attenzione alla<br />
figura umana, sola di fronte al resto del mondo. Da reale ad irreale. Come in un film noir<br />
in bianco e nero anni ’30, dove su qualsiasi narrazione prevale la bellezza della luce<br />
innaturale della pellicola.<br />
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Contemporanea è la donna ritratta. La<br />
modella, sempre la stessa: la moglie.<br />
Epp<strong>ure</strong> quelle fig<strong>ure</strong> accuratamente<br />
abbigliate o completamente nude,<br />
socialmente inserite in un contesto<br />
preciso, levitano nella reverie, nella<br />
contemplazione del nulla e nella<br />
tristezza che le isola rispetto al resto<br />
del mondo. Prive di qualsiasi allusiva<br />
sensualità all’oggetto sessuale.<br />
Scrive, ancora: “Sono sempre stato<br />
molto attratto dall’architettura, ma i<br />
direttori di giornale vogliono gente che<br />
muova le braccia” (1906); “Il mio<br />
ideale in pittura è sempre stato la<br />
trasposizione più esatta possibile delle<br />
impressioni più intime evocate dalla<br />
natura”.<br />
L’austerità asciutta e scarna lo induce a<br />
rappresentare esclusivamente ciò che è<br />
strettamente necessario, a far<br />
emergere i silenzi attraverso la luce. I