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Cella 211 | di Daniele Ferrise<br />

di Daniele Ferrise 16 aprile 2010 In appr<strong>of</strong>ondimenti,cinema tv media,photogallery | 1.465<br />

lettori | No Comments<br />

Buio, lenta dissolvenza sul primo piano di un uomo con in mano una sigaretta. L’uomo<br />

estrae una p<strong>art</strong>e del filtro, lo riscalda sulla fiamma dell’accendino e lo affila sulla pietra.<br />

Con un passo ha già attraversato per intero la larghezza della sua piccola e mal illuminata<br />

stanza. É davanti al lavandino, senza esitare si recide i polsi con la rudimentale lama.<br />

Mentre immerge le braccia nell’acqua, oramai satura di sangue, il suo volto scavato è<br />

sereno. Finalmente è libero.<br />

Con questa immagine cruda, si apre il sipario su Cella 211 (titolo originale: Celda 211) del<br />

regista Daniel Monzòn (autore anche di La Caja Kovak), produzione ispan<strong>of</strong>rancese<br />

distribuita in Italia da Bolero Film.<br />

Juan Olivier (Alberto Ammann), sposato con una donna incita al sesto mese di gravidanza<br />

(M<strong>art</strong>a Etura), dopo aver lavorato in un mattatoio é al suo primo incarico come secondino<br />

in un carcere di massima sic<strong>ure</strong>zza. Per fare buona impressione, si presenta sul posto di<br />

lavoro con un giorno d’anticipo.<br />

I nuovi colleghi gli illustrano le varie proced<strong>ure</strong> da seguire prima di scortare i detenuti in<br />

cella. Durante la visita al settore dedicato ai prigionieri più pericolosi, un frammento<br />

d’intonaco di una parete in via di ristrutturazione si stacca colpendo Juan alla testa. Nel<br />

tentativo di rianimarlo, le guardie lo distendono sul letto di una cella vuota, la 211. A<br />

causa di una rivolta all’interno del carcere, le guardie, sono costrette ad abbandonare il<br />

settore senza aspettare che Juan rinvenga.<br />

Fernàndez e Carlos Farauolo).<br />

57<br />

A guidare l’insurrezione c’è Malamadre<br />

(Luis Tosar, incredibilmente bravo e<br />

nella p<strong>art</strong>e), già responsabile di una<br />

rivolta avvenuta dieci anni prima in<br />

un’altra prigione.<br />

Juan, rinvenuto, sopraffatto dal<br />

naturale istinto di sopravvivenza<br />

capisce subito che non può rivelare la<br />

sua vera identità. Si finge un detenuto<br />

e fiancheggia Malamadre nella rivolta.<br />

Facendo propria la frase tipica di Juan:<br />

“si fa quel che si può”, faranno<br />

pressione sul governo al fine di<br />

migliorare la vivibilità del carcere,<br />

tenendo in ostaggio detenuti<br />

app<strong>art</strong>enenti all’Eta.<br />

Vincitore di 8 premi Goya, Cella 211 ha<br />

conquistato la giuria aggiudicandosi il<br />

titolo di Miglior film, Miglior regia<br />

(Daniel Monzón), Miglior attore (Luis<br />

Tosar), Miglior attrice non protagonista<br />

(M<strong>art</strong>a Etura), Miglior attore esordiente<br />

(Alberto Ammann), Miglior<br />

sceneggiatura non originale (Daniel<br />

Monzón e Jorge Guerricaechevarria) e<br />

Miglior suono (Sergio Burmann, Jaime

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