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Il Testimone - Sane Society

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29<br />

17.<br />

I ricordi di quegli anni furono per Alvano i più duri da vivere, da capire, da sistemare, da organizzare. Lui<br />

era a poco a poco diventato sempre più estraneo a se stesso ed alla sua famiglia. Lui pensava solo a lavorare<br />

dalle sette del mattino alle sette di sera. In piedi sulla rotativa a passare fogli da stampare. A cucire libri e a<br />

spillare riviste. Ad impaginare grossi manifesti, a confezionare pacchi da spedire. Lui si faceva portare i<br />

pasti da casa. Spesso non li consumava e li dava al giovane che lo aiutava alla macchina. Quando rientrava a<br />

casa, a sera, Alvano sentiva il suo rientro avvertito dal rumore sordo e secco che faceva quando posava la<br />

grossa chiave della porta della tipografia sul marmo del mobile vicino all’ingresso. La settimana stava per<br />

finire e anche quella volta non avrebbe portato i soldi a casa. <strong>Il</strong> ‘ragioniere’ non si era fatto vivo, né aveva<br />

mandato qualcuno a pagare gli operai. Lei glielo avrebbe rinfacciato, avrebbero litigato di nuovo, anche<br />

perché era passato qualcuno dalla scuola a dire che Alvano non studiava, che era stato interrogato, aveva<br />

preso un brutto voto. Aveva bisogno di un aiuto oppure lasciare gli studi. Così non si poteva andare avanti.<br />

La fine di un’epoca veniva segnata dalle liti personali per la divisione della proprietà. La vecchia stamperia,<br />

la casa paterna, proprietà che il tempo aveva svalutato, favorito sia dalla stupidità degli uomini che dalla<br />

loro avidità, beni contesi, ritenuti irrinunciabili. Per una vecchia radio vennero sigillati decenni di lavoro in<br />

termini di capitale umano e morale. Alvano sentiva di non avere certezze di riferimento per il suo futuro.<br />

Era solo con se stesso, con la sua insufficienza, con la sua incapacità ad affrontare i contenuti che giorno<br />

dopo giorno, tra le mura della scuola, e quelle di casa, gli venivano proposti. Finirono ben presto sul<br />

lastrico. E Alvano le avrebbe prese ancora una volta. Fuggiva, si nascondeva giù in quella stanza di sotto, tra<br />

la legna, le carte, le scatole, i bidoni ripieni di cenere della vecchia cucina usata per riscaldare l’acqua per<br />

fare il bucato. Aveva come compagna la gallina che tenevano lì sotto e che dormiva nella scatola delle<br />

scarpe che la vecchia cappellaia Ida le aveva confezionato. Anche quella sera Alvano non avrebbe preso<br />

posto a tavola per la cena. Pochi minuti ed avrebbe sentito i passi di lui, di sopra, andare su e giù per la casa,<br />

per prepararsi ad uscire. Lo scarico del lavandino che finiva nel bidone lì sotto lo avrebbe avvertito della sua<br />

imminente uscita. Non aveva sentito altre parole dopo le urla, dopo gli schiaffi ed i calci che aveva ricevuto.<br />

Qualcuno gli avrebbe portato qualcosa da mangiare. Lui sarebbe rimasto lì, al buio, per tutta la serata. Una<br />

volta trascorse un’intera notte laggiù, in compagnia di un colombo capitato da quelle parti non si ricordava<br />

bene come.

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