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Il Testimone - Sane Society

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45<br />

26.<br />

Camminammo a lungo sotto la pioggia, tenendoci per mano, fermandoci di tanto in tanto sotto i portoni per<br />

ripararci e riprendere fiato. Lei mi aveva fatto capire che potevamo andare su. L’evento stava per avere<br />

luogo. Nel suo imprevedibile italiano mi disse che era stanca di andare ogni sera nel parco sul quale si<br />

affacciava quel grande hotel. Diventava, infatti, sempre più difficile trovare la panchina giusta, libera e<br />

strategicamente posizionata. Varcammo con passo svelto la porta d’ingresso, facendo un cenno di saluto al<br />

portiere che non si curò di noi. Aprii la porta e la rinchiusi dietro di me velocemente. Avevo il cuore che mi<br />

batteva forte in petto, temevo che mi salisse in gola, e mi mozzasse il respiro. Tirai le tende delle due<br />

finestre separate dalla striscia di mobile che faceva da piccola libreria. Un’improvvisa penombra cadde sulla<br />

piccola stanza. Filtravano solo le luci a neon che provenivano dalla strada ai fianchi delle tende. In un<br />

momento me la trovai davanti senza niente addosso. Mi costrinse a fare lo stesso, graffiandomi con le sue<br />

lunghe unghie sulla pelle diventata improvvisamente fragile ed indifesa. Sentii un lungo, prolungato brivido<br />

scorrere lungo la schiena mentre lei mi spingeva con forza sul letto. Non ricordo esattamente cosa accadde,<br />

né quanto durò. Potrei a questo punto inventarmi una bellissima scena erotica. Sarebbe tutto falso. Senza<br />

dubbio eravamo su quella strada. Lei mi aveva intrappolato e non avevo scelta. Anche a distanza di tanto<br />

tempo, mi resta, però, un solo ricordo che mi fa gelare ancora la mente. Quel bastardo bussò con violenza<br />

alla porta e disse che voleva entrare. Doveva prendere delle carte da portare via con urgenza. Lo pregai di<br />

aspettare, lui sapeva che ero con lei. Sapeva quello che stavo facendo. Sapeva che per me era un evento<br />

importante. Sapeva che dovevo farlo. Sapeva che volevo farlo. Sapeva che potevo farlo. Lui sapeva, eppure<br />

disse che avrebbe chiamato il portiere per farsi aprire. Lei si alzò dal letto di scatto. Corse nel bagno. In un<br />

lampo riuscì vestita, portandosi dietro quella scia di profumo. Si fermò davanti a me. Stavo ritto ed<br />

impalato, in mezzo al piccolo corridoio che conduceva al cucinino. Nudo come un verme. Scoppiò in una<br />

fragorosa risata. Saettò alcune frasi al mio indirizzo. Non capii assolutamente nulla di quello che mi disse.<br />

Si aggiustò i capelli guardandosi nello specchio che stava dietro alla porta. Mi guardò di nuovo. Continuò a<br />

parlare. Poi, con la mano destra sollevata, il palmo rivolto verso l’alto, indicò il mio centro con un chiaro<br />

gesto di scherno. Aprì la porta. <strong>Il</strong> bastardo stava là pronto ad attenderla. Risero fragorosamente. La beffa era<br />

stata completata. La porta si richiuse. Andarono via correndo nella tenue luce del corridoio. Sentii come una<br />

coltellata al petto. Mi vestii con calma. Mi sedetti come per riflettere sul letto scompigliato. Non so quanto<br />

tempo rimasi lì. <strong>Il</strong> suono del telefono mi riportò alla realtà. Qualcuno cercava qualcuno e chiese scusa in<br />

fretta. Mi guardai intorno. <strong>Il</strong> ristretto spazio di quella stanza mi sembrò quello di una cella dalla quale però<br />

sarei potuto evadere. Raccolsi le mie poche cose e andai via. Uscii dal palazzo che era buio e continuava a<br />

piovere. Incurante dell’acqua mi misi a camminare senza scegliere una direzione precisa. Avevo voglia<br />

soltanto di andare. Passi rapidi guidavano la mia mente. Ma la mente non sentiva i miei passi. Passi perduti,<br />

passi dolorosi, passi solitari, passi senza ritorno, passi ritrovati, passi inutili, passi misteriosi, passi nella<br />

notte, passi bagnati, passi senza tempo, passi stranieri, i passi dell’oca.

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