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Quando cominciarono a fare le carte per costruire la casa, le chiamarono cooperative, sorte nella valle per<br />
fare fronte alla richiesta di case di proprietà che liberasse gli inquilini dall’usura di un canone<br />
insopportabile. Vennero realizzate anche nella frazione dell’Episcopio. Appartamenti suddivisi in edifici<br />
ubicati su terreni espropriati per delega del Comune della città, con regolare atto di convenzione secondo<br />
tutte le normative vigenti. Ebbero finanziamenti con mutui per miliardi a tassi di interesse da veri usurai per<br />
la durata di 25 anni.<br />
Queste le condizioni per avere una casa, allora e forse ancora oggi. Tipico linguaggio in ipocrito burocratese<br />
per descrivere il naturale bisogno di un tetto sicuro nel villaggio ai piedi di Alvano, all’Episcopio come a<br />
Milano, a Calcutta come a Pechino o a Città del Capo. Farsi una casa per la gente che non ha molte<br />
disponibilità economiche è sempre difficile, specialmente se deve procedere all’acquisto del terreno su cui<br />
edificare. Ma non solo il terreno. Bisogna trovare i soldi, il tempo per espletare le pratiche, bisogna<br />
possedere le abilità necessarie per districarsi nella selva della burocrazia. Tutte variabili che influiscono ed<br />
avviliscono anche gli spiriti più volenterosi e volitivi. L’antica primaria esigenza dell’uomo ad avere una<br />
casa, che sia una capanna o una tenda, in pianura o in montagna, una residenza in campagna circondata da<br />
un parco, oppure su di una barca di giunchi sul fiume, fatta di legno o di guano, di cemento o di mattoni,<br />
all’ombra del vulcano o sotto la montagna, nella valle o in riva al mare. L’idea è sempre la stessa: la<br />
sicurezza, la famiglia, il conforto.<br />
<strong>Il</strong> terreno prescelto dagli amministratori era quello che si diceva destinato allo sviluppo cooperativistico.<br />
Edilizia di insediamento popolare, economica, agevolata, per chi non aveva disponibilità, per le classi meno<br />
fortunate, la classe operaia, come si sentiva dire allora. Bisognava avere un reddito fisso, possibilmente in<br />
coppia, con due stipendi, per affrontare le difficoltà. Non bisognava essere proprietari già di un’altra<br />
abitazione. Tutto doveva essere legale. La ricerca del terreno, l’assis tenza tecnica della lega delle<br />
cooperative, la posizione dei soci. Nei confronti del comune, nei confronti dell’ente finanziatore, nei<br />
confronti del tribunale, nei confronti dei proprietari dei terreni.<br />
Già. <strong>Il</strong> terreno. I proprietari non volevano mollare. Alvano e i suoi amici condomini si insediarono con la<br />
presenza dei carabinieri, dopo di avere occupato la sede del Comune. L’esproprio era necessario, la legge<br />
era loro favorevole. Avevano diritto alla casa. Anche i proprietari avevano diritto alla loro terra. Loro, però,<br />
volevano più soldi. Un terreno agricolo venduto per terreno edilizio. Antiche battaglie dietro vecchie<br />
bandiere portatrici di ideali dimenticati, ormai, a distanza di circa venti anni. Richiami alla rivoluzione<br />
francese diventata marxista e al latinorum catto-comunista, parole dense di storia e di significati, per le quali<br />
gli aderenti erano pronti a combattere, rincorrendo idee, ideali ed ideologie. Sulla pelle di chi aveva bisogno<br />
di una casa. C’era, di fatto, anche chi ne aveva già una. Si usava l’occasione per fare un investimento, una<br />
speculazione, a buon prezzo. Tutti abbiamo famiglia: una figlia da sposare, un figlio da sistemare, una<br />
somma da investire. La solita storia all’italiana. <strong>Il</strong> cuore a sinistra, il portafoglio a destra.<br />
I condomini di Alvano poterono insediarsi su quei terreni osservando ogni legge scritta, seguendo l’azione<br />
di un presidente che era un pazzo perché credeva in quello che faceva. I soci si impegnarono così, a tassi di<br />
usura, a pagare per venticinque anni, fino al terzo millennio, per un insediamento edilizio in un ambiente, in<br />
luoghi che poi a distanza di qualche anno si sarebbero rivelati insicuri, i meno adatti a costruire case. Cenere<br />
e lapilli ovunque. Ai piedi di Alvano, di fronte a Vesevo. Cose da pazzi. Le frane sarebbero scese proprio di<br />
lì. Per quei valloni bloccati, cancellati, dimenticati. Quei regi lagni trasformati in campi di calcio o terreni<br />
agricoli. Quelle strade alberate con tante villette, un tempo canali percorsi da acque che scendevano dalla<br />
montagna.<br />
Ma l’aria era buona, fina, pulita. Un panorama incredibile sulla valle più bella del mondo. Si poteva sentire<br />
il respiro degli antichi popoli italici della vicina Foce. Un vento vigoroso e purificatore faceva compagnia, ai<br />
piedi della montagna di Alvano. Una natura che era un piacere imparare a leggere nelle sue infinite varietà<br />
di colori e di stagioni. Anche gli antichi popoli italici avevano scelto quei posti per erigere le loro case e le<br />
loro necropoli scomparse ai piedi del monte, come ai piedi di Vesevo. Emerse oggi dopo millenni, per caso.<br />
Terre e terreni che sarebbero stati ricoperti da mille frane e mille lave. Fango fatto di cenere e di lapilli di<br />
Vesevo verso Alvano. E poi, dopo la catastrofe, giù accuse agli abitanti di abusivismo, speculazione edilizia,