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Lo conosceva bene. Lo aveva proprio di fronte. In diverse occasioni avevano avuto modo di comunicare nel<br />
corso dei secoli. Anzi, millenni. Vesevo guardava da un lato verso sud, affacciandosi sul golfo di Neapolis.<br />
Dall’altro, alle sue spalle, tra gli ultimi contrafforti dell’Appennino a est e i Monti Lattari a sud est, la<br />
grande valle percorsa dal fiume nel mezzo, si levava Alvano. Un territorio straordinariamente ricco non solo<br />
da un punto di vista agricolo ma anche storico. Alvano si ricordava dei tempi del neolitico, quattromila anni<br />
circa prima di Cristo, allorquando aveva visto sbarcare, per la prima volta, sulle coste di Stabiae, in una<br />
notte di plenilunio, quei piccoli navigatori provenienti dal mare aperto. Uomini e donne, bambini ed animali<br />
che subito si accorsero della fertilità dei terreni. E vi rimasero.<br />
La ricchezza delle paludi, il percorso di un fiume sempre ricco di acqua e di pesca, l’incrocio delle brezze<br />
marine e montane con la loro presenza purificatrice, ma soprattutto la distesa dei terreni ricchi di sali<br />
minerali. Vesevo li ricopriva spesso di ceneri e di sabbie durante i suoi periodici ed imprevedibili furori<br />
eruttivi. Ancora oggi ai suoi piedi il paesaggio colpisce per il tragico squallore e la malinconica solitudine,<br />
una sorta di deserto. Nessuna pianta, nessun fiore, nessuna traccia viva tranne una che Alvano conosce bene.<br />
Un fiore innamorato dei luoghi tristi e abbandonati dagli uomini. Una pianta fedele compagna di destini<br />
infelici, di grandezze passate, di desolazioni vissute. Quei terreni, cosparsi di sterile cenere e ricoperti di<br />
lava indurita, creano oggi un ambiente inospitale.<br />
Eppure affascina il viaggiatore attirato dal pensiero del tempo allorquando quei luoghi erano ricchi di<br />
fattorie e di campi coltivati biondeggianti di grano e risuonanti di muggiti di armenti. Vi sorgevano edifici<br />
con giardini, dimore di potenti, graditi luoghi di ozi. Vesevo, però, non dava tregua. Ricopriva tutto<br />
lanciando fiamme dalla sua bocca eruttante fuoco. I torrenti di lava seminavano distruzione e morte.<br />
D’allora, solo quella pianta dal profumo delicato addolciva, ancora addolcisce la desolazione di quel posto<br />
tramutato in deserto.<br />
Un profumo che arriva fino ad Alvano percorrendo l’ampia valle. Cenere e lapilli avevano ricoperto la<br />
grande pianura fin sotto le pendici del suo corpo dando vita ad una vegetazione ricca, abbondante,<br />
profumata. Come profumata è la ginestra. Sul suo corpo non fiorisce solitaria e triste ma insieme a tanti