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Tutti erano scomparsi. Suo figlio di dieci anni. L’altro suo figlio di sedici. E poi un altro di venti. E poi ancora il padre<br />
e la madre della moglie. La cognata ed i suoi due figli. Sua moglie. Erano stati insieme per ventidue anni.<br />
La scena che si presentò ai miei occhi da quassù, sui due versanti, la mattina seguente, era davvero devastante. La<br />
frazione maledetta semi-sommersa dalle colate di fango. All’alba vidi gli elicotteri arrivare. Uno, ancora col buio,<br />
aveva cercato di fendere la notte per capire cosa era successo. Uccello d’acciaio dal rombo amico, apparve tardi ed<br />
all’improvviso in quella notte di tregenda di cui fui testimone. L’occhio acceso, falciava il buio di un inferno in<br />
diretta, alla ricerca di chi chiedeva aiuto. Ce ne sarebbero voluti molti per portare in salvo tutta quella gente che alle<br />
luci dell’alba livida invocava aiuto dai tetti. Ma soltanto uno era abilitato al volo notturno. Sorvolò le nostre case, le<br />
nostre teste. Verso di lui si indirizzavano le fioche luci delle torce elettriche della gente. Ai primi giri sembrò<br />
individuarci. Pensammo di poter fuggire dalla trappola di fango che ci circondava e che saliva minacciosamente.<br />
Nella notte fonda ci lambiva sulla sinistra, verso l’ospedale. Non comprendevamo perché. Sapemmo poi che lì i morti<br />
erano molti. Alle prime luci dell’alba apparvero altri uccelli d’acciaio. Di forme varie e di colori diversi, rombavano<br />
su di noi come aquile reali. Uno, in particolare, enorme, dalle pale lunghe e vorticanti, cercò di abbassarsi. Alla ricerca<br />
di uno spazio in cui fermarsi per poter gettare le corde dell’aggancio. Un grande risucchio d’aria ci avvolse tutti<br />
mentre, con le braccia tese al cielo, gli facevamo cenno di scendere. L’uomo in tuta, col portellone spalancato,<br />
gesticolava senza che noi potessimo capire quello che diceva. Fuori dalla casa dove ci eravamo raccolti, vecchi,<br />
bambini, adulti, imploravamo aiuto. Si fermò in alto, in mezzo al cielo, in posizione di stallo. Un rumore infernale,<br />
indescrivibile, l’urlo di cento tempeste, vortici di mille venti. Tutti gli alberi vicini rabbrividivano, piegandosi al vento<br />
delle pale. Fuggimmo dentro, tutti. Come avremmo potuto affidare all’uccello d’acciaio i nostri vecchi, i bambini, i<br />
gatti, i cani, per andare verso la salvezza? Ma c i saremmo poi davvero salvati? O saremmo piuttosto andati incontro<br />
alla morte? Minuti, momenti, attimi per prendere una decisione. Chi doveva salire per primo? Nessuno si decideva. La<br />
corda con l’aggancio pendeva, oscillando nel vuoto. Chi per primo? Nessuno si mosse. Ci rinchiudemmo nella casa<br />
facendo cenno all’uccello d’acciaio di andare via. <strong>Il</strong> vento era un ciclone. <strong>Il</strong> rumore quello dell’inferno. Qualcuno<br />
telefonò col cellulare chiedendo di lasciarci al nostro destino. L’uccello si allontanò. Noi eravamo ancora vivi.<br />
Altrove si scavava nel fango. Bisognava fare presto prima che si indurisse. Io li vedevo scavare con le mani<br />
freneticamente alla ricerca di un qualche superstite ancora vivo in quel cosa nera e immonda che era il fango.<br />
Immagini vive che il tempo non potrà mai cancellare. Chi cercava un fratello, chi una sorella. <strong>Il</strong> figlio, la figlia. <strong>Il</strong><br />
padre, la madre. Chi il suo cane, chi il gatto. Quando tirarono fuori dopo tre giorni quel giovane mi resi conto della<br />
reale dimensione della tragedia. Le abbondanti, incessanti piogge che erano cadute per tutto il mese di maggio<br />
avevano lanciato piccoli segnali che non erano stati presi in considerazione.<br />
Qualche settimana prima, pioveva quella sera sul villaggio. Si erano alternate giornate di pioggia e di sole.<br />
L’appuntamento era sulla terrazza della congrega per la visita degli amici stranieri. I bambini avevano preparato<br />
cartelloni, disegni e striscioni di benvenuto. Due lunghe fila di ragazzi avrebbero salutato gli ospiti agitando le<br />
bandierine. La pioggia, implacabile, continuava a cadere facendo penzolare impietosamente le insegne che avevano<br />
perso i colori e le parole. Tutta l’aria intorno alla piazza del duomo era impregnata di un acre odore di terreno umido,<br />
fradicio di pioggia e di erba tagliata da poco. Ricordava i campi di Britannia e la sua atmosfera: piovosa, umida,<br />
nuvole basse ed irregolari, fino ai piedi di Alvano che quasi non si vedeva più. Squarci improvvisi all’orizzonte<br />
lasciavano intravedere nella valle i paesi, il percorso sinuoso del fiume, l’azzurro del cielo e sopra tutto e tutti Vesevo.<br />
Alvano salì rapidamente i gradini insieme a Jeff, il giornalista del Chronicle. Cercò un ombrello. L’acqua scendeva a<br />
fiotti per le scale scivolose. Tutti erano sorpresi dall’atmosfera invernale. Alcuni si rintanarono negli angoli della sala,<br />
altri si rifugiarono in chiesa dove don Antonio celebrava la messa. Durante la celebrazione sarebbe scoppiato<br />
improvviso, col fragore di una bomba, un fulmine facendo mancare l’energia elettrica. Nessuno si mosse dal suo posto<br />
e al lume delle candele la cerimonia si concluse. Quelli erano i segnali che voi non comprendeste. Non potevate<br />
immaginare che la mia rabbia stava montando. Nemmeno tu, Alvano, ti rendesti conto di quello che stava per<br />
accadere. Mentre correvi con Jeff verso l’auto vedesti il terreno sceso dalla montagna. Ti limitasti a dire: ”Non è<br />
niente. Non c’è pericolo. Accade spesso quando piove”.<br />
Sì, era accaduto tante volte, nel corso dei secoli. E’ scesa la lava, stanotte. E’ piovuto molto, stanotte. Addirittura ti<br />
fermasti nella curva, indicando le luci giù nella valle. Proprio in quel punto, una della mie tante frane sarebbe scesa<br />
con violenza lungo quello che era una volta un canalone. Ma ti avrei risparmiato, come ho risparmiato gli amici della<br />
tua cooperativa. Ottima posizione, quella per una prossima frana mirata. Invece, ti ho risparmiato perché tu possa<br />
raccontare. Ed ora tu dici che non vuoi essere un allarmista. Dici che non ti senti sicuro. Che non vi hanno detto cosa è<br />
accaduto. Non sai cosa intendono fare di voi che vi ostinate a vivere ancora ai miei piedi. Quali sono i loro piani. Ma a<br />
che serve, caro Alvano, predire quello che accadrà se poi non sapete cosa dovrete fare? Altrove sanno cosa fare.<br />
Dovreste imparare a conoscere meglio il vostro ambiente. Non dovreste limitarvi a godervelo soltanto. Certo, non è