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56<br />
“Dobbiamo scavare. Trova una pala!”.<br />
“Una pala? E dove vuoi che la trovi? Qui non c’è niente, non ci vive nessuno. Non ci viene nessuno da anni.<br />
E’ un posto maledetto”.<br />
“Dobbiamo scavare nella roccia, qui al numero 13, allo scalino che corrisponde a questo numero ”.<br />
Cominciavo ad innervosirmi ma non avevo via di scampo. Salii di corsa verso quello che un tempo era<br />
l’ingresso del tempio. Trovai un lungo tubo di ferro corroso dal tempo e lo portai giù. Cominciò a battere,<br />
picchiare, scavare come un forsennato a quell’altezza nel terreno e nella roccia. Sbancava e scavava terreno<br />
verso l’alto e verso il basso, dando colpi secchi senza fermarsi. Ad un certo momento sentimmo che i colpi<br />
facevano un rumore diverso da quello che fino ad allora avevamo udito. Era come se là sotto ci fosse<br />
davvero qualcosa, una scatola, una cassa. Alfred continuava a scavare tutto il terreno intorno. Ormai<br />
avevamo capito che c’era qualcosa in quella parte della parete del monte. Dopo tanto scavare cominciò ad<br />
apparire la forma di una cassa. Con fatica la tirammo fuori. Era quadrata, di ferro, lunga circa un metro. Non<br />
aveva catenacci, no n sembrava chiusa. Tolse il terreno con cura. L’aprì con una certa facilità. Già pensavo a<br />
qualcosa di terribile. Girai la faccia per poi guardare direttamente ad Alfred. Piangeva. Aveva trovato le<br />
cose di suo padre: una divisa, un berretto, un cinturone, delle carte. Tra le mani una lettera che stava<br />
leggendo. L’aveva scritta il genitore prima di morire, prima che fosse poi seppellito là intorno, da qualche<br />
parte dai suoi compagni. Alcuni di loro gli avevano descritto la vicenda e gli avevano tracciato que lla specie<br />
di mappa che lo aveva portato a quel posto. I commilitoni del padre avevano raccolto in quella scatola di<br />
ferro le sue cose e gli avevano promesso di farlo sapere al figlio. Alfred le raccolse senza dire parola.<br />
Rinchiuse lo scatolone di ferro, lo ricoprì di terreno e cominciò a scendere i gradini. Mi attese sullo spiazzo<br />
e mi disse:<br />
“Verrai a casa mia e sarai mio ospite fino a quando vorrai”.<br />
Dopo circa due anni lo avevo di nuovo davanti, avvolto in un lungo cappotto, ancora più segaligno di prima,<br />
sorridente ad abbracciarmi e darmi il benvenuto a Londra. La mamma stava ad aspettarci a casa. Disse che<br />
aveva preparato “pasta ’e fasule”.