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Un tempo non molto lontano, al viaggiatore dei secoli diciassettesimo e diciottesimo proveniente dalla<br />
Germania, dalla Francia e dall’Inghilterra, l’Italia doveva sembrare un paese in cui si poteva avere la<br />
percezione di un esatto equilibrio tra arte e natura. Questa era stata trasformata in arte. Specialmente da<br />
Roma verso sud, il viaggiatore, durante il così detto Grand Tour, poteva godere delle visioni più incredibili,<br />
sentire le sensazioni più sconvolgenti, cogliere il fine ultimo dell’esistenza. Una sorta di paradiso in terra<br />
fatto di fuochi, colori, musiche, sapori, incantamenti. La Campania, in particolare, era la meta preferita e la<br />
Valle tra Vesevo e Alvano aveva sedimentato, sia materialmente che spiritualmente, questa condizione<br />
esistenziale.<br />
Da millenni Vesevo ha cosparso la valle di cenere e di lapilli. Si sono depositati a strati rendendo fertili i<br />
campi. Sulle alture il calcare è stato ricoperto riemp iendo le spaccature e le fessure nel terreno, facendo in<br />
modo che la vegetazione mettesse radici profonde. Vesevo ricordava che nel 79 d.C. le sue ceneri non<br />
fecero in tempo a diventare solide lungo le discese del vulcano e precipitarono, diventate lava, con violenza,<br />
sugli abitanti alle sue falde ritornati durante una pausa dell’eruzione. Ci furono colate dello spessore di oltre<br />
trenta metri. Ancora oggi, a distanza di due millenni, quando piove, quelle lave scendono a valle e inondano<br />
case, strade e paesi costruiti impunemente, come se nulla fosse accaduto. Nessuno ha mai pensato che il<br />
disastro ambientale è causato sempre dalla costituzione geologica del terreno. Tutte le alterazioni successive<br />
apportate dalla mano dell’uomo non fanno altro che aumentare i rischi. Ciò è accaduto tante volte con<br />
Vesevo; è successo con Alvano: montagne che franano, si tormentano, vibrano, si rivoltano, tracimano,<br />
scivolano, si deformano, si trasformano, esplodono. Piogge continue per diversi giorni. Nuvole cariche<br />
d’acqua sulle cime. Fulmini illuminano cielo e terra. La terra vibra sotto la città che improvvisamente si<br />
sveglia, si allarma e si preoccupa. Ma la città non sa cosa fare. Ma chi potrebbe dirglielo? E poi: come<br />
evacuare tante persone senza anticipare danni? Si limitano ad aspettare. Alcuni decidono di andare via. Altri<br />
restano. Quelli che erano tranquilli rivoli di acqua, di cielo e di terra, all’improvviso, diventano violente<br />
colate che precipitano abbattendo tutto sul loro percorso. Tra chi resta e chi riesce a scappare, una trentina di<br />
persone sono intrappolate in una colata di fango alta oltre dieci metri. In pochi attimi e la ‘cosa nera’ si<br />
solidifica, diventa dura come la roccia. Seppellisce quella parte della città in un miscuglio di ceneri di vario<br />
spessore e calore. Avvolge i corpi, riempie i volumi, occupa gli spazi. Ferma i momenti di quelle persone e<br />
di quelle cose, nel tempo universale, facendoli arrivare fino a noi ad Herculaneum. Vesevo aveva ancora<br />
una volta fatto il suo lavoro, lanciando il suo messaggio rimasto incompreso ed inascoltato.<br />
Anche Alvano ai suoi piedi aveva, ed ha ancora, le città, i paesi e i villaggi. <strong>Il</strong> suo corpo è ricoperto delle<br />
stesse ceneri e lapilli lanciati da Vesevo. Avrebbe fatto la stessa cosa. In una notte, dal suo così detto<br />
‘pizzo’, avrebbe fatto esplodere in decine e decine di punti la sua rabbia, la sua collera, i suoi tormenti,<br />
seminando lutti e distruzione, affogando la gente in un mare di fango e di parole. Terreno instabile, perché<br />
fatto di cenere e di lapilli, facile al distacco ed allo scivolamento. Lo sapevate. Perché avete costruito,<br />
incendiato, saccheggiato, scavato là dove non avreste dovuto? Perché avete dimenticato come è fatta la mia<br />
pelle? Cenere e lapilli di Vesevo. Lo sapevate. Perché avete alterato gli equilibri interni del mio sistema<br />
idrico? Perché avete scavato pozzi a monte e a valle? Perché avete pompato milioni di metri cubi di acqua?<br />
Perché avete portato via le mie acque? Perché avete lanciato nel mio ventre tonnellate di cemento per<br />
costruire le strade? Perché avete incendiato estate dopo estate il mio corpo? Perché avete continuato a<br />
suonare le campane della cattedrale come se fosse sempre festa? Perché avete continuato a recitare rosari e<br />
litanie di riti, celebrazioni, convegni, assemblee, conferenze, impregnati di finto dolore e di falsa<br />
solidarietà? Perché avete lasciato costruire ai miei piedi case, ville, piscine, campi da tennis, ospedali,<br />
fabbriche, come se questi terreni, queste montagne, questi valloni, questo mio corpo martoriato fosse sicuro,<br />
affidabile, idoneo, adeguato? Perché avete illuso tanti cittadini che avevano bisogno di una casa, di un tetto,<br />
di un centro di riferimento per la loro vita facendo costruire case prima ritenute abusive, poi condonate, poi<br />
legali, dopo lauti condoni? Perché avete inventato e lasciato comandare per decenni personaggi della<br />
politica, dell’economia, della cultura legati al malaffare, alle speculazioni, all’imbroglio, alla malafede, alla<br />
vecchia politica delle tre effe? Basta che il popolo avesse, e continuasse ad avere, le feste. Basta che la gente<br />
avesse la possibilità di mangiare ed abbuffarsi alle bancarelle in piazza davanti alla chiesa mescolando il