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-“Ero a Los Angeles. Un flash alla Tv diceva che da qualche parte in Europa, nel sud dell’Italia, nei pressi<br />
del Vesuvio, nella regione della Campania, c’erano centinaia di morti per la caduta di diverse frane, dopo<br />
abbondanti piogge. <strong>Il</strong> paese più colpito era Sarno, in provincia di Salerno. Notizie più approfondite nei<br />
successivi notiziari”.-<br />
-“Come stai?” -<br />
-“Vivo. Grazie a Dio. Poteva andare peggio”. Manca poco alla mezzanotte. Mi hai sorpreso mentre andavo<br />
con i miei pensieri sui marciapiedi della città che mi ospita”-.<br />
Alvano attaccò a parlare con foga al cellulare. E’ strano dirle in un’altra lingua queste cose della frana, dei<br />
morti, della montagna che è venuta giù, della speculazione edilizia, della deforestazione, degli incendi, della<br />
camorra, della disamministrazione pubblica. E’ come se non ti appartenessero, non ti riguardassero, comune<br />
letteratura, finzione, immaginazione. E’ come quando parli o leggi di un libro, della vicenda narrata in un<br />
racconto. Oppure della storia di un film, della sua trama, del regista, della tecnica narrativa. Credi di starci<br />
dentro, ma in effetti ne sei fuori. Fai le analisi, i confronti, gli approfondimenti. Esamini i personaggi,<br />
l’ambiente, la trama, i sentimenti, le connessioni. Ti infervori, riesci a calarti nella vicenda, trasmetti a chi ti<br />
ascolta le tue intuizioni, le deduzioni, le valutazioni. Hai studiato, hai seguito aggiornamenti, letto giornali e<br />
riviste. Hai consultato volumi. Fatto ricerche. Ma tutto resta un artifizio intellettuale, un’abile messa in<br />
scena sul palcoscenico della fantasia, del pensiero, della tua immaginazione o di quella dell’autore che stai<br />
leggendo.<br />
Qui è diverso. Dannatamente diverso. Ti viene chiesto dall’altro capo del mondo cosa è accaduto. La<br />
persona conosce i posti, la tua casa, le tue cose, la gente. Tu le devi dire il vero, la realtà dei fatti. Allora ti<br />
ritrovi a parlare della vita, perché sei stato travolto dalla vita con la sua valanga. L’evento della frana<br />
improvvisa venuta giù dalla montagna in una notte di tarda primavera. <strong>Il</strong> filtro di un’altra lingua rende<br />
diversa la descrizione della realtà. Nuove le scelte comunicative da fare nelle situazioni narrative, non come<br />
nella tua lingua, nel tuo dialetto. Devi pesare e soppesare, ponderare, definire la latitudine del significato<br />
delle parole che usi. Frana, abusivismo, speculazione edilizia, incendi, camorra, canalizzazione, regi lagni,<br />
Borbone, termini che hanno una risonanza diversa nella lingua straniera, per una persona estranea. Tutto ciò<br />
è estraneo alla sua cultura. Hai bisogno di più parole, di perifrasi, di riferimenti storici e culturali per farti<br />
capire. Niente è scontato. Come si fa a spiegare, così su due piedi, al cellulare, a una persona che sta a Los<br />
Angeles, chi erano i Borbone a Napoli, perché conoscevano le montagne nel secolo scorso meglio di noi<br />
oggi, una nazione tra i paesi più industrializzati del mondo. Come si può far capire a dei sudditi di sua<br />
maestà britannica che le città dell’agro non hanno mai avuto un piano regolatore, non hanno mappe del<br />
territorio. Che i cittadini non conoscono le regole dell’emergenza. Gli studenti delle nostre scuole vengono<br />
storditi con lo studio di autorevoli classici, vecchi di duemila anni, indottrinati in complessi sistemi<br />
filosofici e astrusi teoremi matematici, ma non sanno nulla dei luoghi dove sono nati e vivono. Non sanno<br />
leggere una cartina della loro città, se mai ne hanno vista una. Non conoscono le regole dell’emergenza,<br />
della mobilitazione. Non sanno leggere una bussola, non sanno orientarsi con le stelle. Non sono mai stati in<br />
un laboratorio degno di questo nome. Non sanno fronteggiare la quotidianità dell’esistenza. Sono soltanto<br />
dei bravi, piccoli intellettuali, restii ad usare una pala, un martello, un tornio.<br />
Eppure sono qui a raccontare al telefonino di alluvioni, frane, eruzioni, incendi, terremoti, distruzioni che<br />
periodicamente hanno luogo nel nostro Bel Paese. Un bel paese davvero, forse perciò tanto odiato ed amato.<br />
Come si fa ad educare allora un popolo del genere? Educazione all’emergenza, all’autogestione,<br />
all’autocontrollo, all’autodisciplina, all’autosufficienza. Quante di queste qualità che formano una vera<br />
comunità si può dire che appartengano a quella di Alvano. Ed è per una serie di fortunate coincidenze che<br />
quella catastrofe non abbia avuto proporzioni maggiori.