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L’anglofilia è una forma di fantasia accentuata come tutte le parole che contengono il suffisso ‘filia’. Spesso<br />
il significato che si dà a queste parole degenera in un eccesso alterando la realtà. Quando Alvano decise di<br />
partire per Britannia non sapeva molto né dell’isola né dei suoi abitanti. Se penso a quello che sia io che lui<br />
crediamo di sapere di tutto ciò che è “inglese” riferito alla cultura e alla storia di quelle isole, a distanza di<br />
mezzo secolo, è piuttosto difficile pensare a ciò che Alvano aveva in testa a quel tempo. Ancora una volta i<br />
ricordi vanno alla biblioteca di mio pad re, a quella piccola libreria dalle porte di vetro opaco giallo che<br />
conteneva su diversi scaffali un tesoro inestimabile andato poi perduto. Dio mio, perduto proprio no! Nel<br />
senso che quei libri si sono come dissolti o diluiti in nuove edizioni, curate da altri editori, con diverse<br />
collane, in moderne traduzioni. Quelli erano libri prodotti da un mondo editoriale che aveva ancora un non<br />
so che di artigianale, personale, locale, amatoriale, individuale.<br />
Nel piccolo paese di provincia, in quei giorni, erano relativamente pochi quelli che, come il padre di<br />
Alvano, sapevano leggere, che potevano leggere libri come quelli, che li collezionavano, li allineavano su<br />
scaffali di piccole librerie gelosamente conservate. <strong>Il</strong> padre, è vero, ne stampava anche qualcuno. E questo<br />
lo rendeva informato, esposto alle novità provenienti dalla grande città, Napoli, distante solo qualche ora di<br />
treno. Non tutti potevano permettersi di leggere autori come Walter Scott, Lord Byron, Charles Dickens,<br />
Thomas Hardy, Henry James, E. A. Poe, D. H. Lawrence, o di personaggi come Enrico VIII, Anna Bolena,<br />
Lawrence d’Arabia, Gandhi. Su queste letture spontanee e autodidatte, dirette o indirette, veloci o<br />
approfondite, confuse o esaurienti, Alvano si era inoltrato nei sentieri dell’anglofilia vista come evasione,<br />
sogno, esplorazione, fuga, costruzione di un progetto di vita. Su di esso, a sua volta, il padre,<br />
autonomamente, da semplice operaio autodidatta, aveva realizzato in parte le sue aspirazioni. Prima<br />
lavoratore in fabbrica all’età di 12 anni, poi collaudatore di cannoni in una grande fabbrica di guerra, era<br />
approdato insieme ai fratelli alla tipografia paterna, vero e proprio esempio di scalata sociale. Erano gli anni<br />
della grande depressione. Una sorella, abile ricamatrice, era emigrata negli USA e di là non sarebbe più<br />
tornata. Alvano, a distanza di due o tre generazioni, sentiva che in quegli anni si decideva il suo destino.<br />
Ascoltava alla radio alle prime ore del mattino le lezioni in inglese, francese e tedesco. Venti minuti di<br />
conversazione prima del giornale radio delle sette. Quello era l’unico modo, a quel tempo, di imparare una<br />
lingua straniera. A Firenze una gloriosa casa editrice pubblicava una rivista che egli conservava<br />
gelosamente e che aveva per titolo “Le lingue del mondo”. Un romantico professore inglese, affetto da<br />
“italofilia”, pubblicava a puntate una grammatica dallo stesso titolo anticipatore “L’inglese lingua del<br />
mondo”. Non era ancora la lingua del mondo, l’inglese, ma si apprestava a diventarlo. Tutti studiavano il<br />
francese. A scuola, il francese era stata una delle poche cose che aveva veramente amato e studiato. La casa<br />
discografica “Linguaphone” vendeva corsi su dischi per mezzo di coupons che apparivano su “Selezione” e<br />
sul “Radiocorriere”. Alvano aveva comprato con i suoi risparmi il corso di inglese e se l’era portato<br />
addirittura con sè sull’isola di smeraldo. Strumento didattico quanto mai utile che poi avrebbe rivenduto al<br />
suo compatriota Saponaro, infermiere come lui in quella casa di matti in cui sarebbe finito a lavorare per<br />
oltre due anni.<br />
Stavano per arrivare gli anni sessanta. Sarebbero comparsi i Beatles, gli Who, i Rolling Stones. Sull’Europa,<br />
e sul mondo, davvero, si sarebbe abbattuta una seconda specie di liberazione. La prima si era manifestata<br />
subito dopo la seconda guerra mondiale ed era stata anglo-americana, venuta d’oltre oceano con la musica<br />
di Glenn Miller e le Lucky Strikes. Ma ora era diverso. Questa volta erano i giovani britannici, figli della<br />
classe operaia, i protagonisti. Essi contestavano e minacciavano la noia, l’autocompiacimento, la sufficienza<br />
della media borghesia, il suo potere e le sue idee. La rispettabilità britannica, la bandiera nazionale, il King’s<br />
English, le cravatte delle vecchie ‘public schools’ erano diventati oggetto di scherzi. Si sentiva che qualcosa<br />
di diverso stava accadendo. Alvano si ritrovava in testa il berretto dei Beatles che avrebbe comprato a<br />
King’s Road durante una escursione turistica di lì a qualche giorno. Un nuovo gadget ne il era simbolo che<br />
entrava nel libro dell’anglofilia. Esso rappresentava, in un certo modo, una nuova cultura, non più quella<br />
dell’impero ma quella della ribellione. Per oltre tre secoli, dalla ‘Gloriosa Rivoluzione’ di Oliver Cromwell,<br />
Britannia era stata il faro della libertà per tutte le nazioni d’Europa. Aveva attirato personaggi di tutti i tipi<br />
perché sapeva conciliare civiltà e libertà pur restando un paese di grande diversità sociale, con un codice