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Il Testimone - Sane Society

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40.<br />

<strong>Il</strong> tempo sembrava trascorrere sempre allo stesso modo ma in maniera diversa all’interno delle ville sparse<br />

su quella vasta ed aperta pianura appena fuori Verulamium. Ogni villa aveva una storia a sé nell’arco della<br />

giornata. Persone e personaggi, ruoli e funzioni si alternavano e si intrecciavano in percorsi intrigati,<br />

complessi, imprevedibili. Tutti gli spazi esistenziali venivano occupati su vari livelli, spesso comunicanti e<br />

convergenti tra di loro, altre volte conflittuali e contrastanti, altre, ancora, inconciliabili ed estranei. Chi<br />

comunque tesseva i fili dei collegamenti era il personale, in particolare gli infermieri. In gran parte giovani<br />

continentali venuti per imparare la lingua, portavano in maniera diversa il loro contributo e la loro<br />

partecipazione ad una esperienza comunitaria che aveva certamente delle caratteristiche uniche. Non tutti<br />

restavano a lungo in un posto del genere. Alcuni scappavano via dopo solo una settimana, altri vi avevano<br />

messo radici e lì avrebbero concluso la loro vita lavorativa prima del pensionamento.<br />

Intorno all’insediamento ospedaliero si potevano incontrare gruppi di case, villaggi formati da serie di<br />

cottages abitati da personale con le loro famiglie. Venivano al lavoro in bicicletta e condividevano con i<br />

pazienti e la loro realtà almeno tre quarti della loro vita. Un charge nurse di origine irlandese aveva lavorato<br />

in quel posto, sempre nello stesso reparto, per oltre venti anni. Altri avevano preso per marito o per moglie<br />

un collega e facevano di una esperienza di lavoro una ragione di vita. Non era una vita facile avere a che<br />

fare con malati di mente di quel genere. Voglio dire, quella era gente che non sarebbe mai guarita, che non<br />

sarebbe mai uscita dal tunnel della malattia, che non aveva speranza. Che dico, non sape va nemmeno di<br />

essere malata, che cosa fosse la speranza, cosa ci fosse dall’altra parte, cioè la nostra parte, di noi normali.<br />

Tutta la loro vita era solo routine, una monotona, ripetitiva, assillante, ossessiva, allucinante ripetizione di<br />

atti, azioni, gesti, comportamenti imposti dalle procedure di assistenza.<br />

L’infermiere di turno di notte consegnava il reparto all’incaricato del mattino e gli passava le consegne nel<br />

consueto rapporto sia scritto che orale. Medicine, terapie, diete, comportamenti di ogni singolo paziente fin<br />

nei minimi dettagli. Si apriva così la giornata per l’assistenza del mattino. Tutti in piedi fuori dal dormitorio<br />

e qui cominciavano i veri problemi. Trenta, quaranta, cinquanta ed oltre pazienti, allineati in lunghi<br />

dormitori con letti su due fila. Solo a percorrerli avevi un senso di angoscia nel vedere quei corpi immobili,<br />

paralizzati, o quasi. Oppure agitati, oscillanti, saltellanti, pendolanti, vaganti, imploranti, violenti e quindi da<br />

legare con la camicia bloccante. Da cambiare, allineare e portare nei bagni per la razione di tempo<br />

aggiuntiva o preventiva di svuotamento dell’intestino. Procedere quindi ai bagni, raderli, vestirli, prepararli<br />

per la colazione, quindi le medicine e le terapie. La musica in sottofondo degli altoparlanti collocati in ogni<br />

soggiorno allietava il lavoro ed accompagnava le ore cadenzando la azioni e i movimenti.<br />

Ricordo Jimmy, dal fisico di boxer, con il passo claudicante, la testa di macrocefalo, con una forza<br />

incredibile. Ti avrebbe potuto stendere con un pugno, soltanto se se ne fosse reso conto. Ricoperto, spesso,<br />

soltanto da un’ampia e lunga camicia, non potevamo vestirlo perché avrebbe strappato tutto e si sarebbe<br />

infuriato. Era diventato amico di Alvano. Verso le dieci di ogni mattina se lo portava a spasso per i viali del<br />

grande parco, con la neve o con il sole, con la pioggia o con il vento, per fargli sbollire la carica di violenza<br />

che aveva accumulato durante la notte. Alvano aveva cura di fare percorsi isolati per non avere guai con gli<br />

automobilisti che passavano. Era un giovane di circa venti anni, simile ad un grosso scimmione. Se lo<br />

portava in giro così. Cantavano a squarciagola e saltavano come potevano rotolandosi sul prato. Una volta<br />

accadde che in un’auto di passaggio ci fosse la matron, la dirigente delle infermiere. Rimase scandalizzata<br />

dalla scena e corse a protestare con il suo collega capo degli infermieri maschi. Erano stati gli straordinari<br />

attributi virili di Jimmy ad impressionarla. E Jimmy era in piena estensione proprio quando l’auto della<br />

matron aveva percorso i viali dell’ospedale.<br />

D’altra parte aveva le sue buone ragioni la matron. Non era raro il caso, infatti, che si verificassero fughe<br />

dall’ospedale di pazienti lavoratori maschi e femmine. Non esistevano mura o cancelli che ne ostacolassero<br />

l’uscita e pertanto era facile allontanarsi senza salutare e senza chiedere il permesso a nessuno. Quando<br />

accadeva una cosa del genere, in un ospedale mentale cosi detto ‘aperto’, non si faceva altro che chiamare la<br />

polizia e segnalare la mancanza del paziente. Sarebbero ritornati da soli o accompagnati qualche giorno<br />

dopo. Difficile che non ritornassero.

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