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Il Testimone - Sane Society

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23.<br />

Quello era il tempo in cui Alvano andava alla scoperta del peccato. Non che sapesse esattamente cosa fosse<br />

ma poteva percepirlo dalle pagine dei libri della biblioteca paterna, dagli schermi dei cinema del suo paese,<br />

dalle pagine dei giornali che leggeva. Una società quella in cui viveva tutta chiusa in se stessa, nei suoi ritmi<br />

consacrati di provincia meridionale. Chissà quanti altri come lui ancora oggi vivono nascosti in una città, un<br />

paese come questo. La famiglia, la parrocchia, la scuola, la fabbrica, la sezione del partito, la sede dei reduci<br />

e combattenti, il circolo della caccia, il circolo dell’unione, l’associazione sportiva, il bar del bigliardo, il<br />

circolo ricreativo, tutte cellule attive di un tessuto umano che di giorno in giorno animavano la vita del<br />

paese. Ognuna di queste cellule aveva le sue regole, i suoi riti, i suoi bisogni, le sue finzioni, i suoi peccati.<br />

Non erano unite l’una all’altra, eppure corrispondevano. Si alimentavano a vicenda, scambiandosi messaggi<br />

a volte in maniera segreta, altre volte in maniera dichiarata. Chi andava in chiesa te lo ritrovavi nel circolo,<br />

poi al bar, dopo di essere stato a scuola, ed avere visto il film al cinema. Scene di provincia che non erano<br />

poi tanto diverse dalle scene di altri paesi e città.<br />

Eppure i personaggi che animavano quei luoghi avevano qualcosa di indefinito e di imprevedibile. C’era nei<br />

rapporti tra i singoli e quelli tra i gruppi una sostanziale ambiguità che li rendeva sconosciuti gli uni agli<br />

altri. A conoscersi si conoscevano bene, ma ad accettarsi, riconoscersi, ritrovarsi negli altri, ne passava.<br />

Erano abili ne l contendere, giudicare, criticare, valutare, soppesare, lasciando sempre appeso il giudizio,<br />

vera e propria riserva mentale, pronta per essere tirata fuori al momento opportuno, allorquando bisognava<br />

dare la pugnalata alle spalle a chi in precedenza era stato giudicato diversamente. Pronti nel cambiamento di<br />

posizione, il gioco delle chiacchiere si faceva sempre più invitante e perverso nel dissacrare e sconsacrare<br />

quella che era ritenuta la morale comune, detta dal pulpito, dal palco, dalla cattedra. <strong>Il</strong> dire era contraddetto<br />

dal non dire; il fare dal non fare; il credere dal non credere. Le cose non dette avevano più valore di quelle<br />

dette; quelle non fatte di quelle fatte; quelle non date di quelle date. Donne e uomini pronti a vendersi per un<br />

consenso, pronti a tradire per un voto, pronti ad ingannare ed ingannarsi per una illusione. Cinismo poteva<br />

essere la parola che meglio si adattava a chi aveva fatto dell’inganno e della menzogna un suo sistema di<br />

vita ed una propria visione del mondo. Pronti nella intuizione, brillanti nella valutazione, taglienti nel<br />

giudizio, i concittadini del paese di Alvano erano i degni eredi di un antico peccato che veniva da lontano e<br />

andava ancora più lontano: l’ipocrisia. Era questa senza dubbio un’arte antica, nata dall’accavallarsi della<br />

presenza di tanti popoli, di tanta gente, di tanti viaggiatori i quali s’erano fermati da quelle parti attirati dalla<br />

bellezza e dalla ricchezza dei posti. Lui si sforzava di capire, di andare al di là delle parole da cui era fatta la<br />

realtà del giorno dopo giorno. Ma per quanto tentasse non riusciva a capire come un fratello potesse, sulla<br />

pelle dell’altro fratello, giocare con la vita, con gli affetti, col dolore, la pena, la sofferenza di chi, pur<br />

fratello aveva bisogno di aiuto. Di vero aiuto, perché aveva bisogno di vivere, di sopravvivere alla<br />

mancanza di lavoro, ai bisogni della quotidianità, alla gestione del proprio futuro. L’avvento imminente<br />

delle nuove tecniche della stampa stava per uccidere il vecchio torchio. <strong>Il</strong> padre di Alvano avrebbe perso il<br />

lavoro, il pane, la sicurezza del vivere.<br />

Alvano vedeva buio nel suo orizzonte. La madre si lamentava che non poteva tirare avanti alla lunga con<br />

quei quattro soldi alla settimana. Indicando i figli, diceva continuamente: “Questi come faccio a mandarli<br />

avanti? Me lo dici?” Litigavano, urlavano, si rinfacciavano le difficoltà. Le porte sbattute. Le finestre chiuse<br />

per non far sentire le urla ai vicini. Ma tutti sapevano. Ognuno commentava. Ciascuno si riteneva in diritto<br />

di giudicare. Per giunta Alvano non aveva avuto buoni voti al trimestre. Avevano riferito che era un cretino,<br />

che non valeva la pena che studiasse. Se era un poco limitato, era meglio che smettesse. Che si trovasse un<br />

lavoro. I problemi si sommavano tra di loro. La stamperia era sull’orlo del fallimento. Anche questa<br />

settimana gli operai non erano venuti a lavorare. Fratelli, coltelli, gli attori sulla scena. Uno non pagava.<br />

L’altro non era pagato. Quell’altro ancora voleva la sua quota di eredità. Minacciava di far chiudere.<br />

Capirai. C’era molto da spartirsi. Relitti e brandelli di un passato pur glorioso ma perduto. Eppure la baracca<br />

venne chiusa. Si misero i sigilli. La vergogna del sequestro. Pane per i denti di quella gente che poteva<br />

sparlare a godimento.<br />

La vecchia rotativa non girava più. La pedalina non cantava più i suoi messaggi d’amore sui bigliettini di<br />

nozze, le partecipazioni di matrimonio, le poesie della prima comunione. Le porte sprangate, i sigilli della

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