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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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Se noi pensiamo che lo svolgimento normale di un soggetto coincida con lo sviluppo d’una complessa serie<br />

causale (si immagini per esempio un periodo di vita normale, durante il quale l’essere nostro si svolge<br />

naturalmente e felicemente ricevendo dall’ambiente ciò che la vita esige senza alcuna sensibile<br />

opposizione), noi avremo un processo causalmente concatenato e perciò costituente un processo<br />

necessario retto da leggi determinate, e tuttavia esso sarà vissuto dal soggetto come un’esplicazione libera<br />

della propria attività (L 292).<br />

Naturalmente, potremmo aggiungere, a commento del brano di Martinetti, questa<br />

idea di NORMALITA’ è essa stessa soltanto un ideale. Quasi mai la nostra vita (se non forse in<br />

certe fasi dell’infanzia, che forse proprio per questo tendono a svanire dal nostro ricordo<br />

dell’età adulta) scorre lungo binari “naturali” così liberi e sciolti da interferenze esterne.<br />

Tuttavia è in linea di principio concepibile una idea di libertà che, come questa, non si<br />

discosti dalla necessità. L’opposto della libertà, da questo punto di vista, non è la<br />

necessità, bensì il caso. Come la necessità è costituita “dalla identità di un complesso che<br />

è la legge dei fattori apparentemente eterogenei che lo costituiscono”, allo stesso modo<br />

diventa possibile definire il CASO come “assenza di collegamento”, come “varietà o<br />

variabilità senza identità, senza continuità, senza ragione”; come una “unità puntuale<br />

isolata per cui non può valere necessità alcuna, perché questa dovrebbe fondarsi su d’un<br />

collegamento qualsiasi, che in principio è negato” (L 293). Se, uscendo di casa,<br />

incontriamo un amico, l’evento in sé non si sottrae al determinismo universale della natura,<br />

in quanto è spiegato da almeno due serie di eventi causali connessi (ognuno di noi due<br />

potrebbe spiegarci la “necessità” del suo essere uscito di casa, ecc.). Senonché, le due<br />

necessità non sono direttamente unificabili, non rientrano in un’unica serie causale, ma<br />

rimangono distinte: “sono due necessità irriducibili, ciascuna delle quali è per l’altra un<br />

caso” (L 293). Allo stesso modo, quando esce il numero 60 all’estrazione del Lotto (evento<br />

che mi fa vincere o perdere), vi è tutto un insieme di fattori che determinano causalmente<br />

l’evento, ma esso rimane del tutto casuale e fortuito, rispetto alla mia personale serie di<br />

eventi e di comportamenti, che cercano vanamente di renderlo “prevedibile”. L’esempio<br />

del Lotto è particolarmente forte, nella generale reductio ad absurdum dell’indeterminismo<br />

assoluto (libertà d’indifferenza), operata in queste pagine da Martinetti (nelle tracce – non<br />

dimentichiamolo – di Schopenhauer). Chi intende difendere una idea di libero arbitrio che<br />

esclude la necessità e si affida alla contingenza, si mette allo stesso livello della fede<br />

credula e superstiziosa di chi affida il proprio futuro alle lotterie (che sono – ricordiamolo –<br />

la “tassa degli stupidi”).<br />

Nella parte finale del capitolo, dopo aver trattato della necessità, Martinetti tratta<br />

della contingenza. Anche qui si distinguono due forme: il contingente causale e il<br />

contingente logico. La differenza è chiarita bene da Spinoza, che li distingue come il<br />

POSSIB<strong>IL</strong>E e il CONTINGENTE vero e proprio. E’ possibile un evento che si verifica sulla base di<br />

una serie causale, di cui ignoro un elemento. Esso è in se stesso necessario, ma per me<br />

(quoad me) contingente (potrebbe cioè non essere). E’ assolutamente contingente,<br />

invece, ciò che dal punto di vista logico non ha una causa (potrebbe essere, come non<br />

essere). Un essere immaginario (come l’ippogrifo, cavalcando il quale Rinaldo vola sulla<br />

luna, alla ricerca del senno d’Orlando) ha uguali possibilità logiche di essere vero o falso,<br />

del suo contrario. Il verificarsi di un evento che lo riguardi è del tutto contingente. Ora, il<br />

difetto della logica scolastica (che si atteneva alla definizione forte del contingente come<br />

non necessario) era di attenersi a una definizione verbalistica di “necessario” (ciò che non<br />

può non essere), anziché tener conto di questa importante graduazione tra il possibile<br />

reale e il possibile meramente logico (ciò che può essere come non essere), ossia il<br />

contingente. Il senso di questa discussione (che potete studiare nei particolari alle pp. 295-<br />

296 del testo) è chiaro: si vuole evitare che l’invocazione della libertà di contingenza simuli<br />

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