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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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grado di rappresentare la totalità delle altre monadi, ossia l’intero universo (sia pure, e qui<br />

sta la sua limitazione, la sua finitezza, da un singolo “profilo” o punto di vista). Questa<br />

visione, di una necessaria fusione o “concrescenza” di sensibile e intelligibile, va<br />

recuperata al kantismo, relativizzando la differenza dei concetti (che dipendono, per il loro<br />

riempimento, dalla sensibilità) dalle idee (che, essendo prive di riferimento empirico,<br />

restano eternamente “vuote”):<br />

Kant ha avuto torto di riservare alle idee della ragione il campo del trascendente. In realtà questa elevazione<br />

si inizia già nelle operazioni stesse dell’intelligenza: ogni concetto è già per se stesso un principio<br />

trascendente. L’uso dei concetti può essere empirico: in quanto l’unità loro è fatta servire soltanto<br />

all’ordinamento del mondo sensibile e al nostro orientamento pratico in esso. Ma se noi consideriamo la<br />

unità concettuale in se stessa, noi dobbiamo già vedere in essa una vera unità intelligibile, un’idea platonica:<br />

ciascuno d’essi esercita, in un campo limitato, quella medesima funzione che hanno le idee vere e proprie<br />

della ragione in rapporto alla totalità dell’esperienza e cioè di elevarci alla considerazione di un ordine<br />

intelligibile che è il fondamento fisso ed immutabile dell’ordine sensibile. In ogni concetto si rivela già quella<br />

stessa contraddizione che è essenziale alla ragione: esso è, o dovrebbe essere, una pura unità intelligibile e<br />

tuttavia non ci è accessibile che per mezzo di schemi e simboli derivati dal senso: onde la sua unità sfugge<br />

realmente sempre alla nostra determinazione diretta (L 345).<br />

Dove risiede, in definitiva, il valore religioso del kantismo? Appunto, nel significato<br />

nuovo e profondo che assume la trascendenza, non più sottratta definitivamente al piano<br />

finito della esperienza umana, in quanto ipostatizzata in una vuota sostanza e relegata in<br />

una distanza infinita, ma resa accessibile all’esperienza umana, nella sua apertura<br />

trascendentale. Il trascendentale kantiano non esclude per sempre l’uomo, il soggetto<br />

conoscente e attivo, dall’accesso al trascendente. Il limite critico posto tra l’uno e l’altro ha<br />

per Martinetti il significato di una inclusione, piuttosto che di una esclusione:<br />

La soluzione di queste antinomie della ragione [il riferimento è alla Dialettica trascendentale della Critica<br />

della ragione pura] è data, secondo Kant, da un atto di modestia della ragione: riconosciamo, egli dice, che<br />

l’esperienza stessa con la sua costituzione ci rinvia ad un fondamento unico ed essenziale di tutta la realtà;<br />

ma riconosciamo nello stesso tempo che esso, appunto perché dovrebbe contenere le ragioni di tutta<br />

l’esperienza, è al di là di ogni esperienza; che noi possiamo giungere fino a comprendere la necessità di un<br />

fondamento trascendente dell’esperienza, ma che dobbiamo rinunciare del tutto a determinarlo. Questa<br />

duplice affermazione basta nondimeno a Kant per eliminare da un lato ogni rappresentazione superflua del<br />

trascendente e dall’altro ogni forma di dogmatismo naturalistico che pretenda rinserrare l’uomo nei confini<br />

della realtà sensibile: la ragione teoretica, se non può rivelarci i misteri ultimi dell’esistenza, può almeno dare<br />

un fondamento saldo alla nostra vita morale e religiosa che è un riconoscimento pratico del trascendente (L<br />

344).<br />

Ciò significa, in riferimento alla religiosità popolare e ai suoi simboli, la possibilità di<br />

ancoraggio della fede a una salda moralità, di cui la vita del saggio è il primo esempio. Ma<br />

anche, in riferimento alla dogmatizzazione teologica, l’appello alla ragione, nel suo<br />

significato intimamente religioso, di critica antifeticistica degli idoli, di contro alla tendenza<br />

verso il “paganizzamento” della pura fede spirituale. Ciò vale anche per quelle forme<br />

laicizzate di “superstizione” che sono, per Martinetti, il materialismo, l’ateismo, lo spirito<br />

faustiano e prometeico della civiltà della tecnica, ecc. Sono aspetti che si potranno in ogni<br />

caso meglio apprezzare nella successiva trattazione della libertà civile (cap. 14).<br />

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