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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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interessi e gli egoismi particolari si compongano spontaneamente in un felice equilibrio: ma questa è anche<br />

più spesso la via che per l’immoderato svolgersi degli egoismi conduce alla rovina. Ciò è visibile<br />

singolarmente nel campo economico con i risultati che dà nella pratica la superstizione degli economisti per il<br />

rispetto assoluto dei naturali conflitti economici (L 361).<br />

La libertà economica (e la connessa teoria della lotta di classe, sia nella variante liberista<br />

che in quella opposta marxista), benché rientri come materia nella sfera formale del diritto,<br />

non è accolta da Martinetti come termine di riferimento assoluto delle libertà civili. Essa<br />

può anzi essere limitata dallo stato (come si legge nel Breviario spirituale), quando ciò sia<br />

indispensabile per assicurare il rispetto della concreta personalità morale dei cittadini e la<br />

aspirazione di tutti e di ciascuno al bene comune: un concetto questo, di ascendenze<br />

aristotelico-tomistiche, che il “laicista” Martinetti (come gli è stato sovente rimproverato dai<br />

cattolici) mostra di non disprezzare affatto. Analogo realismo, nel rifiuto di ogni facile<br />

ottimismo “giusnaturalistico”, si osserva nel rifiuto di considerare le più determinate libertà<br />

civili: diritto di associazione e di riunione, libertà di stampa, ecc. come un mero diritto<br />

naturale dell’individuo, che ne oblia la concreta appartenenza a un più ampio insieme<br />

morale, politicamente qualificato: “la libertà di associazione e la libertà di stampa, che<br />

sono generalmente (ed a torto) considerate come inerenti all’individuo, sono in realtà<br />

elementi e problemi della libertà politica: perché il diritto di associazione e il diritto della<br />

stampa sono coefficienti essenziali della costituzione politica” (L 364-365).<br />

Una critica altrettanto netta è rivolta alle dottrine politiche ispirate a un principio<br />

collettivistico. L’errore del COLLETTIVISMO è di porre “lo stato prima dell’individuo come il tutto<br />

è prima della parte: la sua volontà generale obbiettiva esprime la più profonda realtà e<br />

perciò ne costituisce anche la reale libertà” (L 359-360). Sia nella versione liberale di<br />

Hegel, che in quella conservatrice e tradizionalista di Haller, un analogo vizio organicistico<br />

è sotteso a tali concezioni, che stentano a sottrarsi dalla tentazione di “divinizzare” lo stato<br />

(statolatria, come la definiva ad esempio Croce: con riferimento a quella particolare<br />

versione di destra dell’hegelismo napoletano, ripresa poi da Gentile e da lui usata come<br />

impropria legittimazione “liberale” del totalitarismo fascista). Ma Martinetti sembra<br />

estendere la sua critica alle opposte forme socialistiche (o meglio comunistiche) di<br />

collettivismo, che abbandonano l’originaria matrice liberale. In esse egli denunzia anzitutto<br />

l’economicismo:<br />

Non è senz’altro accettabile […] la teoria […] che […] la libertà consista nella perfetta subordinazione alla<br />

volontà generale incarnata nello stato. Sebbene lo stato rappresenti una ragione impersonale e collettiva,<br />

esso non è che la razionalità della vita inferiore, che sola è disciplinata dal diritto. Tutto ciò che costituisce<br />

propriamente la vita dello spirito trascende l’orizzonte e la capacità dello stato. Perciò voler porre come limite<br />

ed essenza ideale della libertà la immedesimazione con la volontà collettiva dello stato è un voler proporre<br />

all’umanità l’ideale sociale delle formiche o delle termiti, un trasformare lo stato in una collettività di servitori<br />

senza personalità e senza volontà. A che allora tutto questo meccanismo colossale, che non ha altro<br />

compito se non di difendere e di nutrire i suoi servi: i quali a loro volta non hanno altro fine che di piegarsi in<br />

tutte le loro attività allo stato e di sacrificarsi per esso? (L 362).<br />

Nella teoria politica dell’epoca non era ancora invalso il termine totalitarismo, per<br />

descrivere questa reciproca, in fondo assurda, finalizzazione dell’individuo allo stato e<br />

dello stato al soddisfacimento dei bisogni elementari della massa (termine in cui si<br />

dissolve ogni parvenza di singolarità personale): ma la cosa, potremmo dire, era ben<br />

presente a Martinetti. Anche senza assumere prese di distanza esplicite da comunismo e<br />

fascismo, era evidente quale ne fosse la implicita valutazione, in questa sua denunzia<br />

dell’errore teorico fondamentale del “collettivismo”. Del resto, qualche velato accenno alla<br />

contemporaneità politica, si poteva anche cogliere: ad esempio, nell’accenno alla<br />

“tirannide” politica, che “è sempre educazione di servi e di ribelli, non di uomini liberi,<br />

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