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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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preso nel suo senso più semplice e generale, questo concetto ha un contenuto intuitivo non altrimenti<br />

definibile perché è quello d’uno stato empirico immediato, come il dolore o il suono; ma che tutti conosciamo<br />

od esperimentiamo quando il corso della nostra vita interiore si svolge senza urti, senza ostacoli, in<br />

conformità del desiderio e delle esigenze nostre. Noi conosciamo tanto bene questo stato di volontà non<br />

ostacolato che lo riferiamo figuratamente alle cose e parliamo d’una libera caduta dei corpi, della libera<br />

vegetazione di una pianta ecc.; noi dotiamo allora il corpo che cade, la pianta che vegeta di quel senso<br />

particolare che proviamo quando l’attività nostra si svolge senza essere impedita, per una specie di<br />

espansione naturale conforme alla volontà nostra. La libertà non si riferisce quindi in senso proprio che ad<br />

esseri coscienti; ed in questo senso a tutti gli esseri coscienti. Niente ci vieta di supporre qualche cosa di<br />

analogo anche nella pianta che espande liberamente le sue fronde o che apre i suoi fiori al sole.<br />

Noi possiamo quindi chiamare libertà quello stato in cui un essere non è impedito di realizzare le<br />

disposizioni e le inclinazioni che ne costituiscono la natura (L 298).<br />

Soffermiamoci brevemente su questo passo. Possiamo così schematizzarne i<br />

concetti essenziali: 1) quello di libertà non è un concetto di cui si possa dare una<br />

definizione astratta, ma che ha carattere intuitivo; 2) essa ha una caratterizzazione<br />

psicologica semplice ed elementare, come certe qualità sensibili: il dolore, il suono; 3)<br />

essa non è tuttavia una proprietà che si riferisca ad uno stato, ma una qualità dinamica,<br />

che si può cogliere cioè insieme al ritmo stesso della vita; 4) è quel sentimento intimo di<br />

espansione, di espressione libera e spontanea di sé, che coincide con la consapevolezza<br />

del vivere (ciò che i tedeschi dicono erleben, distinguendolo dal semplice leben); 5) la<br />

caratteristica fondamentale della vita (rispetto alle cose inanimate) è quella di esprimersi,<br />

di mostrare all’esterno il proprio stato interno di benessere o di malattia; 6) perciò è<br />

possibile una descrizione figurativa o simbolica del vivente: non si tratta di semplici<br />

“metafore”, che traspongono il significato proprio di un termine, sulla base di un confronto<br />

analogico, che rimane estrinseco (come quando dico “sei un fulmine”, sottintendendo “sei<br />

veloce come sarebbe veloce il fulmine”), ma di un rapporto necessario e diretto tra<br />

l’espressione simbolica e il suo significato (come quando dico dell’abito bianco della<br />

cresimanda o della sposa che è “simbolo di purezza e di verginità”); 7) di una vita<br />

cosciente (di qualsiasi vita cosciente: umana, animale e qui persino vegetale) Martinetti<br />

afferma che si può riconoscere direttamente il grado maggiore o minore di libertà nel<br />

rispettivo grado di spontaneità del suo movimento; 8) di qui la definizione (che non è una<br />

vera definizione, ma più che altro la indicazione di un ambito di circostanze) della libertà<br />

come lo “stato in cui un essere non è impedito di realizzare le disposizioni e le inclinazioni<br />

che ne costituiscono la natura”. Può sembrare una definizione negativa (e ciò perché non<br />

si dà mai libertà in astratto, ma libertà in concreto, non una libertà assoluta, ma una libertà<br />

relativa, una libertà da), tuttavia l’autore sottolinea come la si debba intendere piuttosto in<br />

un senso positivo: “la libera attività ‹è› accompagnata da un senso di gioia […] non v’è per<br />

l’uomo altra sorgente di felicità che il pieno svolgimento normale dell’essere suo e questo<br />

ha il suo indice nel sentimento della libertà” (L 298). Non è dunque il piacere, in un<br />

significato edonistico, il sentimento positivo in cui si esprime la libertà, ma la gioia (che ha<br />

un significato più spirituale, più calmo, rispetto a quello che intendiamo comunemente per<br />

piacere). Martinetti non esita a usare il termine classico di felicità: intendendolo proprio nel<br />

significato di Aristotele: come sinonimo e contrassegno della vita virtuosa ed eccellente,<br />

come libera e compiuta espansione delle disposizioni proprie della natura umana, come<br />

misura di grandezza etica dell’uomo, che non si concentra sui singoli atti e momenti, ma<br />

che si regola sull’intero arco di una vita. Gli inglesi hanno, accanto al termine riduttivo di<br />

happiness, con cui si traduce normalmente il termine greco di felicità (eudaimonia), e che<br />

ha un significato psicologico empirico, che la identifica con il piacere, un termine più<br />

appropriato: quello di flourishing (florido, fiorente, in fioritura), riferito per lo più a life (una<br />

vita fiorente, una salute fiorente, ma anche una persona fiorente), che non a caso attinge<br />

alle stesse immagini figurali scelte da Martinetti.<br />

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