IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia
IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia
IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
ovviamente, nel sostrato somatico, ma non è esso a fornire il senso dell’esperienza di cui<br />
si tratta): “il soggetto della sensazione dolorosa è anche il soggetto attivo che nel dolore<br />
appunto esplica una tendenza, una volontà, una “fuga” dallo stimolo doloroso: ed in questa<br />
volontà elementare concorrono non solo l’azione dolorosa dello stimolo, ma anche<br />
innumerevoli altre tendenze corrispondenti agli elementi che sono stati portati<br />
simultaneamente ad una più o meno chiara coscienza” (ibid.). Il dolore, come sensazione<br />
organica, è sempre lo stesso dolore. Ma come accade che diversi individui, nella sintesi<br />
formale dell’io presente a se stesso, lo assumono in modo diverso? Il sano rispetto al<br />
malato, l’edonista rispetto all’asceta, il sadico rispetto al masochista, ecc.? Il senso di<br />
questa esperienza elementare è un significato “complesso”, che si dà sempre e soltanto<br />
nel presente vissuto: “a questa sintesi attiva – prosegue Martinetti – che è, in quell’atto, la<br />
volontà dell’io sofferente, vengono poi a subordinarsi, resistendo o conformandosi, i<br />
sistemi di attività riflesse ed inconscie in cui traducono le tendenze coscienti la loro azione<br />
esteriore” (ibid.). Così – può concludere – “un atto fugace di volontà è già per sé una<br />
sintesi estremamente complessa: l’io si immedesima, per quell’istante, con l’unità stessa<br />
della sintesi: la sofferenza è immediatamente vissuta come atto e stato dell’io, come una<br />
cosa sola con l’io” (ibid.). E’ l’atto con cui l’io assume come proprio, “materiandosi” di esso,<br />
il dolore, e non la semplice sensazione fisiologica del dolore, che mi dà il senso di quella<br />
esperienza.<br />
In che modo questa coscienza immediata, e per così dire, puntuale si estende nelle<br />
forme della durata temporale, che vi sono intimamente intrecciate? Dobbiamo riconoscere<br />
qui una certa sommarietà della trattazione martinettiana. Egli scrive, ad esempio, che<br />
“l’atto vissuto e oltrepassato non scompare: esso persiste ordinariamente per la memoria<br />
ed agisce come disposizione, come tendenza più o meno sensibile anche quando il<br />
contenuto corrispondente scomparso nella penombra della coscienza” (ibid.). Manca<br />
tuttavia qualsiasi analisi fenomenologica del modo in cui le dimensioni temporali si<br />
collegano tra loro, restituendoci il senso pieno e concreto della durata. Di come il presente<br />
(per usare la terminologia husserliana) si “protende” nel passato e nel futuro, negli atti di<br />
“anticipazione” e “rimemorazione”, restituendoci il sentimento vivo della temporalità, come<br />
“concrescenza” e “maturazione” degli atti. Al posto di ciò, troviamo una semplice immagine<br />
analogica, che paragona l’io al rapido guizzare della fiamma (qualcosa di simile al celebre<br />
“fuoco” di Eraclito): “ad ogni atto succede rapidamente un altro atto: e l’io trapassa come<br />
una fiamma di momento in momento: in ciascuno di essi l’io si identifica con l’atto vivente<br />
ed è quella coscienza e quella volontà che per esso si attua” (ibid.). Il senso di questa<br />
immagine analogica è chiarito da Martinetti alcune righe più avanti. L’io come coscienza<br />
d’atto – e dunque l’esperienza elementare della libertà come spontaneità – si può<br />
considerare da due lati: come atto, cioè come “sintesi formale”, e come fatto, casualmente<br />
prodotto e determinato. Come la fiamma è sempre “nuova” e diversa, pur essendo il<br />
prodotto della combustione e della combinazione chimica di materiali eterogenei, così la<br />
coscienza d’atto dell’io è sempre coscienza di un presente nuovo e diverso, con cui si<br />
identifica, pur essendo il risultato di atti precedenti, che in certo modo lo condizionano e lo<br />
rendono prevedibile (L 327). Martinetti ne conclude che “la concatenazione causale non<br />
distrugge la spontaneità della coscienza, non impedisce che in ogni nuovo atto l’io senta<br />
se stesso come vero e proprio soggetto dell’atto stesso e si immedesimi col suo contenuto<br />
e con la sua attività” (ibid.). E qui richiama l’analisi già svolta in precedenza, che suppone<br />
un concetto di causa non come antecedente estrinseco e meccanico del suo effetto, ma<br />
come identico ad esso, per la diversa combinazione delle condizioni del suo prodursi. Se<br />
“l’effetto non è che il complesso dei momenti causali diversamente espresso” (L 328),<br />
anche l’atto di volontà sarà ad un tempo “un atto nuovo della coscienza” (cui si collega<br />
37