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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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sue logiche deduzioni e verifiche sperimentali, a propendere verso un determinismo<br />

assoluto, espresso nella LEGGE <strong>DELLA</strong> CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA:<br />

Se noi pensiamo la totalità del mondo fisico come una grande concatenazione di cause e di effetti e se<br />

ricordiamo che in ogni nesso causale l’effetto e la causa sono sostanzialmente identici, tutti i successivi<br />

aggruppamenti di movimenti e di energie del mondo fisico dovranno costituire un’unità fondamentale<br />

costante, non saranno che parvenze diverse di una corrente unica, omogenea, costante. Ammettendo la<br />

possibilità d’un accrescimento o di una diminuzione, dovremmo ammettere effetti senza cause o cause<br />

senza effetti. Ora in questa concatenazione costante si inseriscono anche i moti del corpo, che sono<br />

determinati e quanto alla quantità di energia e quanto alla direzione e al tempo; il libero arbitrio, implicando la<br />

possibilità che la volontà determini da sé dei movimenti corporei, contraddice al principio della conservazione<br />

dell’energia (L 400).<br />

Né vale il ricorso, frequente nelle discussioni tra sostenitori del determinismo e “filosofia<br />

della contingenza”, alle leggi statistiche, che avrebbero l’effetto di rendere meno rigida e<br />

più flessibile la previsione scientifica. Quando si applica all’azione collettiva, la statistica<br />

non fa che mettere in luce “l’azione di alcuni fattori costanti”, senza escludere “l’azione dei<br />

fattori individuali” (L 402). Ad esempio la correlazione tra il numero dei matrimoni e le<br />

condizioni economiche (fissate dal prezzo medio del grano). Questa rappresenta un<br />

fattore costante nelle decisioni degli individui (il numero dei matrimoni diminuisce infatti<br />

percentualmente, con il peggioramento del tenore di vita), a determinare le quali<br />

concorrono ugualmente fattori variabili (ad esempio, la opposta spinta demografica ad<br />

accrescere la popolazione, dopo una crisi bellica, indipendentemente dal fatto che le<br />

condizioni economiche di miseria, determinate dalla guerra, appaiano in contrasto con<br />

essa). Il comportamento sociale sarà in ogni caso la risultante necessaria di un intreccio<br />

complesso di fattori costanti (leggi generali) e di variabili (individuali), senza che<br />

l’indeterminismo possa aggiungere nulla di meglio alla spiegazione dei fenomeni, o nulla<br />

togliere alla loro prevedibilità. L’effetto dell’applicazione sociologica della statistica ha in<br />

realtà l’effetto contrario a quello preteso dal contingentismo: ossia di rendere più oggettiva<br />

ed esatta la previsione scientifica del comportamento umano, riducendo anche le variabili<br />

individuali a qualcosa di prevedibile e (per la legge dei grandi numeri) sempre verificata (il<br />

numero dei suicidi, in una popolazione osservata per un sufficiente numero di anni e in<br />

relazione a condizioni economiche e sociali determinate, risulterà costante, anche se ciò<br />

non obbliga, ovviamente, nessun individuo a suicidarsi, per verificare la legge statistica).<br />

Una conclusione fatalistica non sembra dunque esclusa dall’accettazione letterale<br />

del determinismo scientifico: il che si pone in stridente contrasto con l’opposta esigenza<br />

morale, di riconoscere un significato positivo alla coscienza della libertà. La testimonianza<br />

della coscienza ci pone qui di fronte ad un inaccettabile “dualismo” di necessità e libertà,<br />

rivelatore di un più grave dissidio tra natura e spirito: “noi sentiamo in noi due leggi, due<br />

necessità, due nature, ma siamo sostanzialmente un essere unico e la nostra vita è<br />

unica” (L 410). Ecco come può essere descritta l’antinomia che sorge dal concepire il<br />

determinismo nella sua dura versione scientifico-naturalistica (in quanto cioè fondato sulla<br />

legge della conservazione dell’energia), e dalla volontà di espungerne l’immancabile<br />

FATALISMO, mediante il ricorso a un’intuizione idealistica (o spiritualistica) della realtà:<br />

Vi è fuori di me e nel mio corpo stesso una realtà straniera alle esigenze dello spirito, impenetrabile alla mia<br />

intuizione, che segue le sue necessità cieche attraverso l’infinità del tempo e dello spazio: e queste<br />

necessità estendono il loro dominio nella parte inferiore della mia natura, penetrano nella coscienza come<br />

impulsi ed istinti irragionevoli e sembrano attirare la mia volontà in quella direzione che è stata loro prefissata<br />

immutabilmente da innumerevoli antecedenti. Nel mio spirito sembra invece vivere un’energia radicalmente<br />

opposta, che si erige di fronte alla natura e già la domina in quanto la conosce: che di fronte all’impersonalità<br />

sua è unità per essenza, di fronte alle tenebre sue è luce spirituale, di fronte al suo cieco meccanismo è<br />

potenza autonoma di dirigere se stessa secondo qualche cosa che non è in nessuna parte, ma deve essere.<br />

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