IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia
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emerge per la prima volta un tipo di spontaneità (dunque, positivamente, di libertà) che è<br />
propria della ragione per se stessa. Ma solo nel passaggio al grado successivo, dalla<br />
libertà pratica alla libertà morale, dall’imperativo ipotetico a quello categorico, la ragione<br />
come forma, capace di auto-determinarsi indipendentemente dal senso, acquista piena<br />
visibilità. I contenuti concreti della libertà pratica non scompaiono, ma vengono posti, nella<br />
loro funzionalità materiale, al servizio di una più universale (dunque formale) legislazione<br />
pratico-morale, in cui rientrano il diritto positivo, il diritto morale, la libertà religiosa, ecc.<br />
Studierete nei particolari del testo la trattazione che Martinetti dà di questi problemi. Qui mi<br />
limito piuttosto a ribadire un punto. La materia non può mai essere realmente in contrasto<br />
con la forma, in quanto si tratta sempre dell’unico io voglio, dell’atto spontaneo e creativo<br />
con cui la personalità morale si attua concretamente, nel proprio sforzo di identificazione<br />
successiva con se stessa, con il proprio “io migliore”. A ciò equivalgono i termini, che non<br />
sono tra loro alternativi, ma reciprocamente fungibili, di “forma”, “sintesi”, “atto”, che<br />
ritornano di frequente nelle pagine della Libertà. Ciascun grado fornisce a quello che lo<br />
precede la piena giustificazione formale, ossia razionale, del proprio dover essere. La<br />
forma precedente, superata nel processo dell’ascensione spirituale, diventa materia della<br />
forma successiva, in un processo teleologico che non va comunque ipostatizzato (quella di<br />
anima è, si può dire, una finzione concettuale utile, non una res o sostanza). Qui si coglie<br />
la differenza tra Martinetti e un “neoplatonico” in senso storico o tradizionale. Quella<br />
neoplatonica rimane una metafisica dell’essere come sostanza (questo è per lo meno, uno<br />
dei molteplici significati della metafisica aristotelica, che ne costituisce lo sfondo storico).<br />
Essa vi aggiunge l’originale intuizione della trascendenza dell’uno, che possiamo anche<br />
esprimere come differenza ontologica (della nozione dell’essere rispetto a quella dell’ente<br />
o della sostanza). Sulla diversità tra queste due intuizioni della metafisica classica – come<br />
sapete – ha molto insistito Heidegger. Martinetti non si esprime mai sul punto con la<br />
chiarezza esplicita di un Heidegger. Ma entrambi si collocano nello stesso orizzonte<br />
neokantiano. Non deve perciò stupirci di trovare in Martinetti una declinazione del<br />
problema del rapporto materia-forma, che si muove nella stessa direzione: di una<br />
trascrizione cioè del concetto classico dell’essere dalla categoria di sostanza a quella di<br />
funzione (per usare i termini più celebri, usati da Cassirer). Ciò che impedisce al<br />
movimento della epistrophé di fissarsi in ipostasi sostanziali chiuse, rendendolo piuttosto<br />
un processo ascensivo infinitamente aperto sulla trascendenza, è l’abbandono di ogni<br />
dialettica discendente, della proodos. La libertà umana, ripete Martinetti con i neoplatonici<br />
(o quelli che lui ritiene tali: Plotino, Spinoza, Spir), si giustifica pienamente, dal lato<br />
formale, solo incontrandosi con la libertà divina. Ma nessun discorso razionale (tanto<br />
meno quello della teologia) consente di ricavare la prima dalla seconda. Per noi può<br />
esistere soltanto la libertà dello spirito, o forse meglio, la sua infinita apertura sul<br />
trascendente (un movimento del “trascendere”, si potrebbe dire, “senza Trascendenza”).<br />
Libertà è crisi, superamento della soglia contenutistica o materiale inferiore, per un dover<br />
essere formale più universale. Vi sono probabilmente infiniti gradi libertà, di cui quelli<br />
analizzati dalla dialettica filosofica rappresentano solo i modelli formali. Non c’è nulla di<br />
così basso (nella vita animale, anzi nella stessa vita vegetale), che non possa sublimarsi<br />
verso il divino. Così come non c’è nessuna forma così elevata, che non possa perdere il<br />
proprio privilegio ontologico, e abbassarsi alla materialità. Qui sta il dramma della libertà<br />
umana, che congiunge gli estremi dell’inferiore e del superiore ed assume quindi un<br />
significato cosmico, prima che semplicemente etico.<br />
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