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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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situazione, opereremmo necessariamente nello stesso modo” (L 385-386). Non si tratta di<br />

un gioco psicologistico (di sapore freudiano), ma di quello che Kant definiva a priori come<br />

il “carattere intelligibile”. L’unico modo di risolvere l’antinomia razionale tra determinismo<br />

degli atti e libertà trascendentale è infatti quello che suggerisce una “doppia lettura” delle<br />

nostre azioni. Esse appaiono, sul piano fenomenico del loro naturalistico accadere,<br />

sorrette da una rigida concatenazione di cause ed effetti, antecedenti e conseguenti. La<br />

loro spiegazione sufficiente è fornita dal nesso causale dei motivi con il carattere empirico<br />

dell’individuo. Questa medesima serie, senza con ciò perdere il proprio aspetto<br />

deterministico, può tuttavia essere riferita, sul piano del suo dover essere morale, ad un<br />

unico centro di spontaneità personale, ad un io, che ne assume intera la responsabilità.<br />

Non è sul piano naturalistico dell’accadere, ma in quello valutativo (e dunque<br />

antinaturalistico) della ragion pratica, che si risolve l’antinomia tra necessità<br />

(determinismo) e libertà. Affinché non siano frustrate le richieste universali della ragione<br />

(ma anche per non falsificare le risultanze fenomenologiche della coscienza morale,<br />

specialmente quando essa si apra al bisogno di assolutezza della coscienza religiosa), si<br />

deve poter riconoscere a un tale “io noumenico” (o “carattere intelligibile”, o “migliore<br />

persona”) un efficace potere di revoca sulle proprio decisioni:<br />

Il senso dell’imputabilità non costituisce affatto una prova che il colpevole avrebbe potuto agire<br />

diversamente; ma significa che la disposizione sua non fa parte di quell’ordine della ragione che noi<br />

riconosciamo come solo legittimo: e che, se quest’ordine fosse realizzato, e la disposizione e l’atto che ne<br />

procede non avrebbe avuto luogo. Il non dover essere implica il poter non essere; perché ciò che non fa<br />

parte dell’ordine razionale che solo deve essere (e veramente è) non solo non deve essere, ma realmente<br />

non è dal punto di vista assoluto. Il rammarico del non dover essere non è quindi solo un rammarico<br />

platonico; perché la realtà che ha dinanzi (la colpa) non è una realtà assoluta; per quanto empiricamente<br />

necessaria essa è, con tutta la concatenazione empirica, qualche cosa che dinanzi alla perfezione del<br />

mondo intelligibile non deve essere e, se questa fosse realizzata, assolutamente non sarebbe (L 386).<br />

Il tono di questa prosa martinettiana si fa decisamente metafisico (ed esso si andrà<br />

accentuando negli ultimi due capitoli (sul libero arbitrio e sul determinismo), che<br />

convergono infatti in un sobrio “epilogo metafisico” (cap. XVIII). Martinetti si interrogherà<br />

sulla necessità o meno di ammettere, accanto a questa libertas maior, che si identifica con<br />

la volontà del bene, la tradizionale libertas minor del libero arbitrio, in quanto volontà del<br />

bene o del male. Dopo l’esito negativo di questa inchiesta, che si risolve nella posizione di<br />

un puro determinismo razionale, a baluardo della coscienza morale, egli avvertirà<br />

l’esigenza di collocare sullo sfondo della aspirazione religiosa all’assoluto (di una religione<br />

che si mantenga per altro nei limiti della ragione, di una pudica fede razionale) l’intera<br />

indagine, che si è mossa anch’essa nell’ambito di uno stretto (benché non arido)<br />

razionalismo. E’ da notare come in questa pagina Martinetti traduca l’imperativo kantiano<br />

“devi, dunque puoi”, nella forma riflessiva, che ne mostra il risvolto metafisico: “il non<br />

dover essere implica il poter non essere”. Questo potere di revoca, che il soggetto morale<br />

riconosce in se stesso (ma che non proviene da lui, in quanto io psicologico e carattere<br />

empirico, bensì funge in lui, in quanto operare impersonale della ragione come carattere<br />

intelligibile), corrisponde al concetto di LIBERTÀ <strong>TRA</strong>SCENDENTALE. Per tale potere (rivolto<br />

sempre al futuro, mai al passato), diventa possibile quella conversione radicale della<br />

volontà empirica alla volontà buona (cui va riconosciuto un carattere “noumenico”,<br />

transfenomenico), che pur senza mutare il corso esterno degli eventi, ne modifica<br />

interiormente il senso (Sinn) e l’importanza (Bedeutung). Questo potere di nullificazione<br />

della coscienza (che Husserl – in altro contesto – estenderà a negazione del significato<br />

naturalistico del mondo e della realtà di fatto – Weltvernichtung – in vista della<br />

modificazione intenzionale del suo senso o della sua verità) deve essere tale, da far sì che<br />

ciò che è stato, pur senza divenire altro, sia riconosciuto, rispetto al suo reale potere di<br />

ulteriore motivazione sulla volontà, per quello che in realtà è, ossia come nulla. Il senso di<br />

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