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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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metafisiche di Cartesio),– questa, e non un’altra, è l’unica spiegazione scientifica possibile<br />

del comportamento animale.<br />

Anche dopo che la scienza ha abbandonato l’ipotesi insostenibile del<br />

meccanicismo, è rimasto il pregiudizio filosofico della totale assenza di libertà dal<br />

comportamento animale. Martin Heidegger, ad esempio, afferma che soltanto all’uomo il<br />

mondo è aperto come ambito di possibilità e di libertà, in conseguenza del suo modo<br />

specifico e unico di rapportarsi all’ente infra-mondano (quello del Dasein ossia della<br />

presenza consapevole-problematizzante al proprio essere nel mondo). L’animale e il suo<br />

comportamento restano invece rinchiusi all’interno dell’ambiente (Umwelt, anziché Welt), e<br />

sono determinati dall’istinto. Benché non sia affatto chiaro di che cosa si tratti<br />

esattamente, quando si parla di istinto (ad esempio se l’uomo, in quanto animale, ne sia<br />

fornito, ecc.), sembra assodato che il comportamento dell’animale non umano (Tier) sia<br />

sufficientemente spiegato in base a fattori innati e biologicamente previsti. L’animale – si<br />

dice – ha una risposta automatica agli stimoli che gli provengono dall’ambiente. Il suo non<br />

è un agire intenzionale (anche quando è assai simile a quello dell’uomo), ma guidato<br />

dall’istinto, che è una risposta a quelli che si definiscono i suoi “disibinitori specifici”. Ogni<br />

specie animale è perfettamente adattata al proprio ambiente (o “nicchia ecologica”), il<br />

quale contiene in sé gli elementi adeguati a soddisfare i suoi bisogni (nutrizione, crescita,<br />

riproduzione). L’animale è ricettivo soltanto a quegli stimoli, a quelle proprietà (colori,<br />

odori, resistenze) che i suoi organi di senso sono in grado di recepire (vista, olfatto, tatto),<br />

e che suscitano in lui una reazione immancabile. Anche se il paradigma meccanicistico è<br />

stato abbandonato dalle scienze, l’istinto animale continua ad essere immaginato (ad<br />

esempio mediante la teoria dei riflessi fisiologici) come una “molla compressa”, pronta a<br />

scattare, a rilasciare cioè la propria forza, in presenza dello stimolo. La fame (ad esempio)<br />

è “inibita” (l’animale può resistere per giorni o addirittura per mesi senza cibo), finché non<br />

incontra, sul proprio cammino, il “disibinitore” ad essa adeguato (la preda per l’animale<br />

carnivoro, certi vegetali per l’erbivoro, ecc.). La risposta allo stimolo è sempre una risposta<br />

biologicamente prevista, in cui domina perciò il più ferreo determinismo.<br />

Ora, Martinetti lascia aperto il problema della “libertà pratica” nell’animale non<br />

umano (anche se sembra citare con approvazione l’opinione di Aristotele, secondo il quale<br />

anche gli animali possiedono una phronesis, una forma di intelligenza diversa da quella<br />

dell’uomo, ma comunque sufficiente a garantire loro l’acquisizione di un “bene” specifico,<br />

della “vita buona” per ciascuna specie vivente). Gli preme piuttosto sottolineare come<br />

anche l’uomo (ad esempio il bambino piccolo) si comporti per lo più come l’animale,<br />

abbandonandosi “per così dire alla sua vita di essere naturale”, seguendo “finché qualche<br />

circostanza non lo arresta mettendo in azione l’intelligenza e la riflessione, il libero corso<br />

degli impulsi e degli istinti di natura” (L 325). L’animal rationale, cioè, rimane (per un lungo<br />

periodo della propria esistenza e per gran parte dei propri comportamenti “quotidiani”,<br />

finalizzati alla soddisfazione dei bisogni) animal: un essere bisognoso e fragile,<br />

potenzialmente riflessivo e razionale, ma che agisce anche in modo istintivo. Questa<br />

considerazione è generalmente utilizzata dai filosofi (ad esempio da Kant) per sottolineare<br />

l’insufficienza delle determinazioni naturali (sensibili) dell’uomo (homo phaenomenon), per<br />

giustificarne appieno la razionalità e la libertà (homo noumenon). Ora, non è che<br />

Martinetti non percorra anch’egli questa strada (lo farà soprattutto nei capitoli successivi,<br />

che trattano della differenza tra mera LIBERTÀ PRATICA e autentica LIBERTÀ MORALE). Ma in<br />

questo capitolo gli preme qualcosa di diverso. Se la libertà come spontaneità, di cui anche<br />

l’uomo (in quanto animale) dispone e fa uso è qualcosa di certamente deterministico,<br />

come mai accade che essa appaia alla autocoscienza umana nella forma positiva della<br />

libertà, anzi in quella più pura del sentimento vitale sfrenato, nella gioia? Se riusciremo a<br />

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