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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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Qual è, in base a questa concezione, la funzione giuridica della pena? Quella della “difesa<br />

sociale” (L 377), di fronte alla pericolosità o all’anomia constatata del reo, che viene<br />

temporaneamente escluso dal consorzio civile, per risarcire l’insieme della società del<br />

danno inflittole col suo delitto. Secondo questa concezione (che assume pertanto un<br />

criterio utilitario e non un metro “giustizialistico” o inutilmente “afflittivo” nello stabilire<br />

l’entità delle pene) la “reazione sociale” è la forma che in una società civile si sostituisce<br />

alla repressione barbarica del delitto, attuata nella “vendetta privata” (L 370). Lo stato di<br />

diritto priva i singoli cittadini (i parenti della vittima) del diritto di farsi giustizia da sé,<br />

attribuendolo alla società nel suo complesso, in base a un criterio non solo di<br />

umanizzazione delle regole (la forza repressiva delle leggi al posto della violenza privata),<br />

ma soprattutto di diversa finalizzazione dell’azione repressiva stessa. Questa deve<br />

passare (per gradi, sulla base del diverso sviluppo civile delle società) dal semplice criterio<br />

della vendetta o del giusto risarcimento (che non può in ogni caso essere assente<br />

dall’esercizio del diritto penale, il quale deve anzitutto assicurare ai singoli l’equità della<br />

pena e, ancor prima, certezza della sua esecuzione), a quello della “prevenzione” contro il<br />

pericolo di una iterazione futura degli stessi (o di analoghi) delitti. Martinetti si esprime qui<br />

con estrema severità, paragonando addirittura la figura del delinquente abituale a quella<br />

dell’alienato mentale: il suo delitto “deve venir in primo luogo combattuto con un’azione<br />

preventiva; in secondo luogo con un’azione punitiva che freni, con la paura della sanzione,<br />

i delinquenti occasionali, migliori i delinquenti abituali ancora capaci di correggersi e metta<br />

nell’incapacità di nuocere, per il maggior tempo possibile, i delinquenti abituali<br />

incorreggibili. […] Non vi è alcuna differenza essenziale tra il pazzo e il delinquente<br />

incorreggibile: il reclusorio e il manicomio si avvicinano sempre più anche nella disciplina e<br />

nei metodi di cura” (L 370). Pur non approvando i metodi sbrigativi delle società civili nel<br />

loro primo emergere “eroico” dalla barbarie (accenna, in tal senso, alla cosiddetta “legge di<br />

Lynch”, a lungo applicata negli Stati nord-americani, specialmente nei confronti degli<br />

schiavi neri), Martinetti è costretto ad ammettere che, su un piano prettamente<br />

naturalistico di considerazione della pena, questa non ha altra giustificazione del<br />

risarcimento “egoistico” del danno subito e della “prevenzione” contro il dilagare<br />

dell’anomia sociale.<br />

Pur accettando, sul terreno pragmatico della difesa sociale, la concezione<br />

positivista, Martinetti non è però disposto a seguirne fino in fondo le conseguenze morali e<br />

specialmente (a questo livello) le implicazioni relativistiche. Critica infatti in modo esplicito<br />

la tesi di Paul Rée (l’autore a cui si era rifatto Nietzsche, nel sostenere il proprio<br />

scetticismo morale e l’immoralismo della sua concezione del superuomo), secondo cui “il<br />

sentimento della responsabilità è un sentimento destinato a sparire non appena l’umanità<br />

venga a vedere chiaramente la necessaria determinazione del suo agire” (L 370).<br />

L’umanità futura (e così anche il superuomo di Nietzsche) riconoscerà senza infingimenti<br />

che parole come “colpa”, “responsabilità”, “pena”, cariche di pathos morale e religioso,<br />

sovraccariche di immagini “afflittive” che le provengono dai “secoli bui” (dall’epoca dei<br />

roghi, della caccia alle streghe, delle inquisizioni), sono prive di significato. Il linguaggio<br />

morale è solo una “maschera” dietro cui si nasconde la immancabile volontà di<br />

autoconservazione della società. La difesa sociale o la profilassi sociale (per usare un<br />

linguaggio affine a quello della medicina), da applicarsi con fredda neutralità alla prassi<br />

antisociale del reo, costituiscono l’unica giustificazione possibile del diritto penale. Invece,<br />

per Martinetti, “sarebbe un grave errore fare consistere la pena soltanto nell’esigenza della<br />

difesa sociale” ( L 373). Alla prima e fondamentale funzione della pena egli ne aggiunge<br />

una seconda, che possiamo caratterizzare come la ricerca di una riabilitazione del reo.<br />

Quando comunemente si afferma che le pene non devono avere un carattere crudele,<br />

inutilmente afflittivo o vendicativo (lo dice anche Martinetti, come pure giustificava la<br />

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