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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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sua libertà in Dio”, ammettere che ciò che nell’uomo costituisce l’essenza della libertà<br />

appartiene, “come un momento assoluto di Dio, a Dio stesso” (ibid.). In questa visione –<br />

intermedia tra teismo e panteismo – Dio si identifica per noi con la Ragione: ragione<br />

infinita come “unità vivente di una molteplicità infinita di rapporti e di elementi ad essa<br />

coessenziali”, non Dio-persona, posto in una relazione di radicale alterità con il mondo<br />

creato. Questo concetto di ragione (che Martinetti indica spesso con il nome di Uno, caro a<br />

Plotino) rimane naturalmente, in rapporto a Dio, un semplice simbolo, ma “il simbolo più<br />

alto e più adeguato a noi accessibile” (ibid.). La religione è per Martinetti la più alta<br />

creazione della ragione, “che compie in essa il suo ultimo sforzo col rinviarci ad una<br />

razionalità più profonda, divinata ed agognata, sebbene non più determinabile dalla nostra<br />

ragione se non per mezzo di simboli” (L 428). L’individualità personale non risulta qui per<br />

altro annullata, ma potenziata. Questa Ragione non va infatti concepita come universalità<br />

astratta, ma come concretissima omnitudo realitatis. In essa ogni momento necessario<br />

dell’agire è conservato e sublimato come essenziale: “conservato nella sua realtà<br />

indistruttibile, che noi qui sentiamo ed esperimentiamo nel nostro limitato io in quanto<br />

ragione, sublimato nella sua unità con tutti gli altri momenti, in un divino accordo, che<br />

trascende ogni nostra potenza di concepire” (ibid.). Di qui la conclusione “scandalosa”del<br />

libro (per mentalità meno agguerrite di quella di Martinetti sul piano della metafisica, o più<br />

semplicemente nutrite da un presuntuoso “secolarismo”), che “l’essenza e il principio della<br />

libertà dell’uomo è nella sua personalità divina” e quindi “la negazione della libertà è<br />

negazione di Dio” (L 429). Una conclusione in cui si ravvisa agevolmente la cifra<br />

spinoziana della sua metafisica ultima, ma insieme il carattere umanissimo e<br />

profondamente antiretorico del suo idealismo (a differenza – se vogliamo – di quello di<br />

altri, che occupavano più di lui la scena filosofica del tempo).<br />

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