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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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Accenti mazziniani si colgono, del resto, nella identificazione di costituzione<br />

(l’apparato giuridico-formale dello stato) e popolo: “la costituzione di un popolo è tanto più<br />

perfetta quanto più perfetta è [la] compenetrazione dell’unità formale con le volontà<br />

individuali […]. Ogni popolo crea naturalmente a sé dalle profondità della sua anima la sua<br />

costituzione: quindi ogni popolo ha quel grado di libertà civile che corrisponde al suo<br />

spirito” (L 364). Come pure nella delineazione dei rapporti tra stato e chiesa, che vanno<br />

oltre la classica formula separatista liberale della “libera chiesa in libero stato”. Martinetti si<br />

collega, da questo punto di vista, a tutto un filone di critica antirisorgimentale, che non<br />

contesta l’opera politica in quanto tale, realizzata dai padri fondatori della patria italiana<br />

(Cavour e la Destra storica). Ma che ne denuncia un limite di visione morale di fondo:<br />

l’assenza di una profonda concezione religiosa, che stia a fondamento della libertà civile.<br />

Nelle pagine che concludono il capitolo egli si esprime senza equivoci sui rapporti tra STATO<br />

e CHIESA, che discendono dalla sua visione di un diritto morale superiore e fondante lo<br />

stesso diritto civile. Da un lato, lo stato deve rivendicare a sé non solo la sfera esterna<br />

della libertà ecclesiastica (per evitare confusioni tra temporale e spirituale), ma la sfera<br />

interna della moralità religiosa, che non può scadere in forme arcaiche e superstiziose,<br />

sottratte al giudizio universale della coscienza morale razionale, inducendo al fanatismo<br />

(riservandosi dunque quello jus in sacra, teorizzato dal giusnaturalismo laico all’epoca<br />

delle guerre di religione, ed estraneo al separatismo liberale eticamente neutrale). Lo<br />

stato, naturalmente, può intervenire soltanto a limitare le manifestazioni esterne in cui<br />

eventualmente si traduca il fanatismo superstizioso, lasciando immune il piano interno<br />

delle credenze e della fede personale. Ma esso non è indifferente, di fronte alle<br />

conseguenze morali della fede religiosa: “è naturale che in uno stato civile non potrebbe<br />

venir tollerata una religione praticante la prostituzione sacra od i sacrifici umani” (L 365). E<br />

non è neppure neutrale, di fronte alla opzione tra fede o ateismo: “in questo senso ha<br />

ragione Hegel quando insegna lo stato poter giustamente esigere che ogni cittadino debba<br />

appartenere ad una comunità religiosa” (L 366). Una affermazione – quest’ultima – che<br />

può lasciarci oggi perplessi! D’altro lato, la chiesa ha tutte le ragioni, per non volersi<br />

relegata in una sfera puramente interiore e intimistica, senza conseguenze sull’etica<br />

sociale: “la religione non può essere considerata soltanto come cosa del tutto personale.<br />

La religione è ben altro!” (L 365-366). Hegelianamente, la religione è “coscienza della<br />

verità assoluta”, momento (oggettivo) dello Spirito assoluto: “essa fonda una società<br />

ideale, la chiesa, la cui unità è più universale e profonda di quella dello stato: essa è<br />

interiormente il mezzo più potente di cultura e di unità spirituale ed anche esteriormente<br />

l’azione sua si incrocia sotto più d’un aspetto con quello dello stato” (L 366). Come<br />

conciliare allora la libertà della chiesa con la libertà dello stato, la pretesa di una verità<br />

assoluta, e quella di una verità relativa, tecnico-strumentale, in sé subordinata ai fini<br />

superiori della moralità religiosa (che fa esclamare a Martinetti: “lo stato non è veramente<br />

un dio sulla terra!” [L 365])? Martinetti si rifiuta di sciogliere il nodo gordiano con facili<br />

formule (come quella della “libera chiesa in libero stato”, di cavouriana memoria, destinata<br />

ad essere travolta, di lì a poco, dalla politica concordataria del fascismo). Egli si limita a<br />

porre in guardia, entrambi i contendenti, da un più sottile pericolo: quella della reciproca<br />

strumentalizzazione di religione e politica, morale e diritto positivo:<br />

E’ una pericolosa illusione per lo stato il credere di poter servirsi della religione come d’uno strumento; per la<br />

coscienza religiosa la legislazione dello stato è sempre qualche cosa di esteriore e di profano, che essa non<br />

potrà mai anteporre alla chiesa e alle sue volontà. Lo stato, in luogo di asservire, finisce per essere<br />

asservito: e poiché la servitù spirituale ha contro di sé le aspirazioni più elevate dello spirito e le forze della<br />

ragione e della cultura, così la chiesa finisce per mandare in rovina lo stato di cui era l’appoggio (L 367).<br />

L’introduzione del concetto di diritto e la differenziazione tra una sua più ristretta<br />

nozione giuridica e una più larga declinazione morale, introduce una ulteriore graduazione,<br />

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