IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia
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ignava ratio ***<br />
Nelle pagine della Libertà si trova sovente ripetuta l’espressione latina ignava ratio<br />
(letteralmente: ragione pigra). Si tratta di un argomento sofistico, invocato nella polemica<br />
contro il fato stoico. A Crisippo, il quale afferma la necessità delle azioni e dice che la vera<br />
libertà consiste nell’accettazione volontaria del fato (fata volentem iuvant, nolentem<br />
trahunt), Carneade (accademico) fa questa obiezione. Tu dici che l’uomo deve dare<br />
liberamente il proprio assenso alla proposizione affermante la necessaria concatenazione<br />
causale delle azioni. Così facendo, ti contraddici: in quanto anche il tuo atto di assenso (in<br />
cui fai consistere la libertà) deve essere causato da antecedenti necessari, e quindi non è<br />
libero. Il sofisma doveva essere già noto ad Aristotele (come riferisce Cicerone, al quale si<br />
deve la formulazione dell’espressione ignava ratio): se tutto è necessario, è inutile agire e<br />
tuttavia anche questo atteggiamento è un deliberare ed un agire. In altre parole, la ragione<br />
è condannata a risolversi: se decide di non scegliere (per ignavia o per pigrizia), in realtà<br />
sta operando una scelta. Il fatalismo è dunque un atteggiamento di malafede. Altre<br />
formulazioni del sofisma sono riportate da Martinetti: ad esempio quella ripresa da<br />
Baumann (p. 413). Delle due l’una: la casa deve necessariamente ardere o non ardere.<br />
Nel primo caso, è inutile che io cerchi di spegnere l’incendio, perché brucerà<br />
necessariamente, e i miei sforzi saranno vani. Nel secondo caso, è ugualmente inutile che<br />
io cerchi di spegnerlo, perché le fiamme cesseranno da sole, e la mia azione si rivelerà<br />
superflua. La soluzione di questo argomento sofistico è offerta da Martinetti alla pag. 420<br />
del libro, distinguendo due tipi di necessità: una meccanica, o naturalistica, che esclude la<br />
libertà del volere, una ideale, o razionalistica, che la prevede come il fattore stesso della<br />
necessitazione dell’agire. La ragione pigra è figlia di un determinismo meccanicistico, che<br />
considera le azioni come causazioni necessarie di un’entità oscura (sia essa chiamata Dio<br />
o Materia), nei cui confronti l’io figura come un fattore trascurabile (al massimo, una<br />
“coscienza spettatrice”, che non può mai dirsi realmente padrona dei propri atti). Ma se si<br />
concepiscono le azioni come espressioni della personalità dell’io, ossia come esprimenti<br />
una necessità ideale (quella della ragione), con cui l’io si identifica (o meglio, si sforza di<br />
coincidere), non c’è più fatalismo che tenga, con cui la ragione possa giustificare la propria<br />
indolenza (la “paura della libertà”, come è stata chiamata da qualcuno). E’ vero che la<br />
casa deve necessariamente non ardere: ma questa affermazione contiene come elemento<br />
necessitante proprio la mia volontà di impegnarmi con tutte le mie forze a spegnere<br />
l’incendio. Quando cesso di lottare e mi arrendo all’evento (constato allora l’opposta<br />
necessità della casa di ardere e di andare distrutta), mi abbandono al determinismo<br />
meccanico delle cose: sottraggo il mio io alla necessitazione universale, che ne risulta in<br />
qualche modo impoverita (come quando fingo nell’immaginazione un mondo da cui<br />
l’azione degli uomini sia del tutto assente, in cui l’umanità sia estinta, e chiamo questa<br />
necessità naturale). Il punto di vista del materialismo è certo razionalmente concepibile,<br />
ma non è coerente, in quanto sopprime il fattore ideale (la coscienza, l’io, lo spirito, o<br />
come si voglia chiamarlo) che ci consente di affermarne la necessità, il dover essere<br />
logico.<br />
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