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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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morale si basa sulla possibilità che sia la ragione stessa (in quanto facoltà dei principi) a<br />

fungere da autonoma sorgente di legittimazione del volere. Il concetto di una “volontà in<br />

sé buona” prende il posto del tradizionale concetto di bene. Non è il bene, in quanto<br />

contenuto materiale, proveniente da una fonte eteronoma di legittimazione (sia esso il<br />

costume, come in Aristotele, o la volontà divina, come in Crusius), a determinare la<br />

volontà. E’ semmai la volontà stessa, in quanto si adegua al formalismo della ragione, a<br />

rendere buoni i contenuti della sua libera autodeterminazione. Ciò è reso possibile, ancora<br />

una volta, dalla stretta analogia tra ragione pura e ragione pratica. Come l’intelletto, nel<br />

suo applicarsi ai dati dell’esperienza sensibile, le conferisce la stabilità e l’oggettività di un<br />

accadere regolato da leggi (ragione legislatrice), così la ragione, nell’estendere in campo<br />

pratico la validità dei concetti intellettivi all’oggetto noumenico della volontà, lo pensa in<br />

base a un simbolismo razionale (a idee), che assume un valore di ideale regolativo. Come<br />

è possibile un ambito di pura moralità (Sittlichkeit), distinto dalla empirica manifestazione<br />

della vita pratica? Come va concepito un puro comando categorico della ragione, capace<br />

di imporsi quale principio unico di determinazione della volontà? Come si passa, in altre<br />

parole, dal cerchio della libertà pratica a quello più ristretto della libertà morale? E’ qui che<br />

il formalismo della ragione esprime tutta la sua potenza, non limitandosi a razionalizzare<br />

un comportamento, che attinge la propria spinta impulsiva alla facoltà sensibile del<br />

desiderio. Ma costringendo la volontà stessa a ricercare nel rispecchiamento con le pure<br />

idee razionali (anzitutto quella di una libertà intelligibile), la norma del proprio operare. La<br />

volontà deve disporsi in modo tale da poter volere, senza contraddizione, qualsiasi<br />

contenuto le sia proposto dall’esperienza, nella forma tipica della ragione: unità e<br />

universalità. Così Martinetti parafrasa il punto di vista kantiano:<br />

La volontà intelligente si converte per l’estensione sua ai fini universali assoluti in volontà razionale; la<br />

volontà pratica diventa libertà morale. I fini della volontà sono, come abbiamo veduto, motivi di natura<br />

concettuale: la libertà pratica corrisponde, nell’ordine pratico, al dominio che, nell’ordine intellettivo, il<br />

concetto introduce sopra il mondo della rappresentazione. Ma ciò che caratterizza l’intelligenza di fronte alla<br />

ragione è la natura frammentaria, incompiuta, dell’ordine concettuale: soltanto la ragione introduce<br />

un’unificazione concettuale della totalità dell’esperienza. Analogamente la volontà, sotto il segno<br />

dell’intelligenza, ha dei fini, ma non un sistema di fini. La sua attività intelligente introduce un ordine razionale<br />

in parti isolate della realtà, ma non nella totalità, perché questa attività sua è ancora sempre subordinata a<br />

impulsi sensibili. L’attività nel complesso ha ancora sempre carattere sensibile e impulsivo; e solo<br />

subordinatamente determinati campi di questa attività vengono sottoposti all’opera della volontà intelligente,<br />

che serve, in ultimo, alla vita sensibile. […] La volontà diventa veramente razionale soltanto quando agisce<br />

sotto l’impero di concetti assolutamente validi, di idee: quando cioè è determinata da motivi concettuali<br />

dell’ordine ideale. Soltanto la costituzione dei sistemi concettuali universali conferisce anche ai concetti<br />

singoli vera universalità. Essi valgono veramente allora per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Così quando la<br />

volontà non limita la sua azione soltanto a parziali sistemi di fini, ma erige un unico sistema abbracciante<br />

sotto di sé tutti i fini, allora essa acquista un valore veramente universale, ideale, nel quale possono<br />

consentire tutte le volontà e tutti gli uomini. Allora diventa volontà razionale per eccellenza, volontà morale (L<br />

347-348).<br />

Non è difficile scorgere, in questo sintetico resoconto, i classici snodi della filosofia<br />

morale di Kant. La sua intende essere una metafisica della morale, non una semplice etica<br />

antropologica o pragmatica. Essa si riferisce cioè alla idea della volontà, come attributo di<br />

un ente puramente razionale, e si applica alla volontà dell’uomo, affetta patologicamente<br />

dal senso, solo in quanto partecipe della razionalità pura. Ciò che consente l’estensione al<br />

campo pratico della originaria funzione legislatrice dell’intelletto, è il comune presentarsi in<br />

forma di legge della esperienza esterna e di quella interna. Viene cioè accettato come un<br />

presupposto indiscusso che la moralità, come modo di estrinsecarsi normale della volontà,<br />

non possa che assumere la forma della legalità (Gesetzlichkeit). Non di una semplice<br />

conformità esteriore alla legge (Gesetzmäßigkeit), ma di una interna causazione legale<br />

(l’azione moralmente obbligatoria devono accadere o provenire aus Pflicht, non limitarsi ad<br />

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