IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia
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apparire pflichtmäßig). Di qui la forma imperativa del comando (Gebot) che, in un essere<br />
solo imperfettamente razionale, in quanto affetto patologicamente dalle inclinazioni<br />
sensibili, deve necessariamente assumere la legge morale. L’imperativo categorico della<br />
moralità si differenzia da quelli ipotetici, appunto per questa autorità incondizionata: esso<br />
non si limita a dire: “se vuoi … tu devi), ma semplicemente “tu devi”. Ciò è reso possibile<br />
dalla presa in considerazione dei fini non più nella loro molteplicità disordinata, bensì nel<br />
principio di unità (sistema dei fini) che tutti li raccoglie. Tale principio è fornito della idea di<br />
libertà intelligibile (o trascendentale), attribuita come soggetto di diritto (se non di fatto)<br />
all’agente morale perfettamente razionale (l’homo noumenon). La forma che tale principio<br />
assume è quella della universalità (non una mera generalità di comportamenti o di<br />
empiriche volizioni, ma una totalità vera e propria dei soggetti volenti). Ciò impone la<br />
distinzione tra le massime (principi soggettivi d’azione) e le leggi (principi oggettivi<br />
d’azione o principi pratici in senso forte). Di qui la formula dell’imperativo categorico, di<br />
agire sempre in modo che la massima dell’azione possa valere contemporaneamente<br />
come legge universale di natura (una natura intesa, leibniziamente, come natura<br />
intelligibile, regno della grazia, nel suo problematico parallelismo con il mondo fisico o<br />
fenomenico: il regno della natura propriamente detto). Senza inoltrarci oltre nel riassunto<br />
del punto di vista di Kant, dobbiamo ora sottolinearne gli aspetti di coincidenza e di<br />
diversità rispetto a quello di Martinetti, che emerge chiaramente in queste pagine.<br />
Dicevamo prima che Martinetti si attiene generalmente al punto di vista kantiano,<br />
ma con una accentuazione del significato metafisico-religioso della sua filosofia, e in<br />
particolare della sua morale. Potremmo dire (come è stato osservato da qualcuno) che egli<br />
accentua la valenza trascendentistica del “trascendentale” kantiano, oppure (il che è lo<br />
stesso), che ne apprezza in modo eccessivo e unilaterale lo sfondo platonico-leibniziano.<br />
Direi che in queste pagine è soprattutto questo secondo aspetto a venire in primo piano,<br />
mentre in altre trattazioni (come il saggio sul Formalismo della morale kantiana o nelle<br />
lezioni universitarie su Kant) viene in luce anche la caratteristica “torsione” martinettiana<br />
del trascendentale di Kant, interpretato e utilizzato (ai fini di una identificazione della<br />
morale con la religione) come simbolo del trascendente. Cerchiamo di chiarire questo<br />
complesso insieme di questioni ermeneutiche. Potremmo dire che la preoccupazione di<br />
fondo di Martinetti sia quella di difendere l’etica formale di Kant (che si potrebbe anche<br />
definire come l’etica della libertà dei moderni, nel suo storico differenziarsi ed opporsi<br />
all’etica delle virtù degli antichi) dai possibili fraintendimenti. E’ frequente l’accusa rivolta<br />
alla morale kantiana di essere una morale “intellettualistica” o “astratta”, che impone<br />
artificiosamente ai contenuti e ai valori concreti dell’etica sociale, un preteso e falso rigore<br />
logico-formale. E’ ad esempio la critica che Hegel rivolge alla Sittlichkeit kantiana,<br />
considerata come sinonimo di moralità astratta e intellettualistica (Moralität), incapace di<br />
applicarsi in concreto all’etica obiettiva della famiglia, della società e dello Stato. Egli si<br />
appiglia in modo un po’ sofistico alle formule dell’imperativo categorico e agli esempi che<br />
Kant fornisce del proprio test dell’universalizzazione, per svuotarle di un concreto<br />
significato funzionale e riportarle al solo principio formale-astratto della non<br />
contraddizione. Nel proporti una massima dell’agire – suggerisce Kant – prova ad<br />
applicarle questa regola: domandati che cosa accadrebbe se tutti la assumessero come<br />
massima (trasformandola quindi in una legge universale). Il concetto del fine che ti proponi<br />
resterebbe immutato, oppure cadrebbe in contraddizione? In questo secondo caso, la<br />
massima non può divenire legge universale, e va dunque respinta. C’è infatti<br />
contraddizione nel mentire, e nel pretendere che tutti gli altri credano nella mia menzogna,<br />
prendendola come verità; così come c’è contraddizione nel volere il suicidio, come rimedio<br />
contro l’infelicità, il che suppone che si voglia in realtà vivere, e dunque al tempo stesso<br />
volere e non volere la vita. Hegel ironizza specialmente contro l’esempio del deposito: la<br />
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